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Non basta che un avvallamento sull’asfalto sia visibile e che l’incidente sia accaduto di giorno per sgravare di responsabilità l’Ente gestore della strada, che ha comunque l’obbligo di prevenire e intervenire celermente sulle situazioni potenzialmente pericolose per gli utenti, soprattutto quelli “deboli”, viceversa si arriverebbe all’assurdo che tutti i “custodi” delle arterie stradali potrebbero permettersi di lasciarle non riparate a tempi indefiniti. E un’ordinanza di capitale rilievo a tutela dei danneggiati e, in generale, di tutti gli utenti della strada quella, la n. 13729/22, depositata il 2 maggio 2022 dalla Corte di Cassazione su un caso purtroppo frequentissimo lungo i dissestati assi viari nazionali, la caduta di un ciclista su una buca.

Un ciclista caduto a causa di un avvallamento stradale cita per danni la Provincia

Un ciclista aveva citato in causa avanti il Tribunale de L’Aquila la Provincia aquilana perché ne fosse accertata la responsabilità ai sensi e per gli effetti dell’art. 2051 c.c. e/o dell’art. 2043 c.c. per un incidente che egli aveva subìto il 3 agosto 2014 mentre percorreva in bicicletta la Strada Provinciale 60 quando, a causa di un avvallamento presente sulla sede stradale, aveva perso il controllo del mezzo rovinando a terra e riportando lesioni alla persona e danni al mezzo. L’Amministrazione provinciale si era costituita in giudizio eccependo la mancanza di prova in ordine alla dinamica del sinistro, l’assenza di nesso causale e la responsabilità esclusiva del danneggiato.

In primo e secondo grado la richiesta viene rigettata

Il giudice, espletate prove per testi, con sentenza del 2019, aveva quindi rigettato la domanda, sostenendo che, pur essendo stato provato il nesso causale tra l’avvallamento e la caduta, quest’ultima doveva ascriversi al caso fortuito, coincidente con la condotta negligente del ciclista: secondo il tribunale, con un’affermazione quanto mai discutibile, la presenza di sconnessioni su una strada extraurbana era una situazione non eccezionale e quindi prevedibile dall’utente.

Per i giudici la responsabilità è unicamente della condotta negligente del danneggiato

Il danneggiato aveva impugnato la sentenza avanti la Corte d’Appello de L’Aquila, la quale tuttavia, con pronunciamento del 2020, aveva rigettato l’appello, confermando che, dovendosi sussumere la fattispecie sotto l’art. 2051 c.c., la condotta del ciclista aveva avuto efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento, integrando il caso fortuito, considerate le circostanze di tempo e di luogo – l’incidente era successo alle 13.20 di un giorno d’estate e in una strada con “avvallamenti assolutamente evidenti” -, e l’ulteriore circostanza che l’appellante fosse alla guida di una bicicletta da corsa, il che gli avrebbe richiesto una particolare prudenza. La Corte territoriale ha quindi ritenuto che non potesse riscontrarsi il necessario sforzo di diligenza nel comportamento del danneggiato finalizzato ad evitare l’avvallamento stradale che era del tutto visibile, come confermato anche dai rilievi dei carabinieri, e che come tale non avrebbe necessitato di alcuna segnalazione.

Il ciclista ricorre anche per Cassazione che gli dà ragione piena

Il ciclista tuttavia non si è dato per vinto e ha proposto ricorso anche per Cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. in relazione all’art.360, co. 1 n. 3 c.p.c. 1.1, e la Suprema Corte gli ha dato ragione valorizzando, sul solco della più recente giurisprudenza di legittimità,  l’obbligo di custodia” e ponendo a carico del custode “la prova del fortuito in termini più rigorosi che in passato”.

Il gestore della strada deve comunque prevenire possibili danni

Il custode, cioè l’Ente proprietario o gestore della strada, nello specifico la Provincia de L’Aquila, “deve comunque predisporre quanto necessario per prevenire danni attinenti alla cosa custodita: il caso fortuito, pertanto, sarà integrato dalla condotta del terzo o del danneggiato soltanto se si traduca in una alterazione imprevista e imprevedibile dello stato della cosa” ricorda la Suprema Corte. Ancora, citando un’altra “propria” sentenza del 2019, la Cassazione sottolinea che “è necessario tenere conto della natura della cosa per cui, quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa, quanto di più il possibile pericolo è prevedibile e superabile dal danneggiato con normali cautele, e quindi quanto più è l’efficienza causale della sua condotta imprudente che giunge, eventualmente, a interrompere il nesso causale tra la cosa e il danno ovvero a espungere la responsabilità del custode”.

Ed è il custode a dover provare il caso fortuito, fermi comunque i suoi obblighi di diligenza

I giudici del Palazzaccio rilevano poi che “la responsabilità ex articolo 2051 c.c. impone al custode, presunto responsabile, di provare l’esistenza del caso fortuito, considerato comunque che i suoi obblighi di vigilanza, controllo e diligenza gli impongono di adottare tutte le misure idonee per prevenire e impedire la produzione di danni a terzi”. Quanto all’onere probatorio, il danneggiato deve invece “limitarsi a provare il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, spettando al custode la prova cosiddetta liberatoria mediante dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia avente impulso causale autonomo e carattere di assoluta imprevedibilità ed eccezionalità”.

La sentenza impugnata ha disatteso tali principi

Nello specifico, la sentenza impugnata non appare certo conforme a questo indirizzo giurisprudenziale a cui la Suprema Corte ha inteso dare continuità. La Corte di merito, infatti, evidenziano i giudici del Palazzaccio, aveva ritenuto che la condotta del danneggiato integrasse di per sé il caso fortuito perché l’avvallamento era percepibile per la sua dimensione e per l’orario in cui era avvenuto il sinistro.

Ciò non toglie, però, che, alla luce appunto della giurisprudenza sopra indicata, “la Provincia avrebbe dovuto prevenire l’avvallamento certamente presente ed intrinsecamente pericoloso, non avendo provato che si fosse appena creato” prosegue la Cassazione, evidenziando come, per assurdo, ragionando diversamente, “tutti i custodi di strade potrebbero permettersi di lasciarle non riparate a tempi indefiniti, ovvero astenersi dalla custodia, perché gli avvallamenti possono essere percepiti materialmente da chi passa nelle ore luminose del giorno, soltanto negli orari notturni “risorgendo” la custodia. Si nota ad abundantiam che il giudice di merito non si è neppure avvalso del rilievo tipico della notevole precedente frequentazione del luogo – da parte del danneggiato – che lo rende ben noto a chi lo percorre”. Il ricorso è stato pertanto accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello de L’Aquila per nuovo esame.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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