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La cinquantottenne di Teglio Veneto era morta in casa due ore dopo che il sanitario se n’era andato, infastidito, senza neanche visitarla, diagnosticandole una bronchite

Penalmente non otterrà mai giustizia per la morte della moglie, ma gli resta almeno la consolazione che il consulente medico legale nominato dalla Procura, peraltro un Ctu di totale affidamento quale il dott. Antonello Cirnelli, gli ha dato ragione piena: la condotta della guardia medica che ha preso (o meglio doveva prendere) in carico la paziente è stata gravemente censurabile, al punto da meritare una segnalazione all’Ordine dei Medici. 

La tragica vicenda è quella di Vanda De Antoni, un’appena cinquantottenne di Teglio Veneto (Venezia) deceduta il 27 gennaio 2018 nella sua casa. Dalle 11 del mattino del suo ultimo giorno di vita la donna inizia ad accusare problemi respiratori e ad emettere un rumore preoccupante dalla gola. Il marito Renzo, sempre più allarmato, chiama il medico di base che però è indisponibile, sta seguendo un corso a San Donà di Piave, e quindi gli consiglia di contattare la guardia medica di Portogruaro. Cosa che il coniuge fa subito, alle 12.01, ripetendolo più volte che la moglie fa fatica a respirare e richiedendo un intervento a domicilio: la paziente, infatti, soffre anche di obesità e insufficienza renale, è diabetica, ha da poco subìto un delicato intervento alle vertebre ed è costretta in carrozzina da una parestesia agli arti inferiori. Dunque, è anche difficilmente trasportabile. 

Ma il dott. B. J., oggi 53 anni, di Padova, uno dei liberi professionisti che all’epoca effettuava il servizio di guardia medica e continuità assistenziale per l’Asl 4 del Veneto Orientale, dà scarso peso ai sintomi prospettati e tratta il caso con insofferenza: raggiunge l’abitazione della signora De Antoni, peraltro dopo altri solleciti telefonici da parte del marito, solo alle 14.30. Chiaramente infastidito  per queste “compulsazioni”, che purtroppo si rileveranno giustificate, il dottore chiede alla cinquantottenne cosa si senta e, senza neppure visitarla o auscultarle i polmoni, sentenzia che si tratta di una semplice bronchite e le prescrive due medicinali, del Bentelan e del Fluibron.

Il coniuge fa presente al sanitario il delicato quadro clinico della moglie e gli chiede di visionare le cure a cui si sottopone e i farmaci che già assume, anche solo per evitare interazioni con i medicinali prescritti, nonché i valori del diabete, che annota meticolosamente. La guardia medica però lo prende quasi a male parole, ripete che la signora sta benone e lo esorta a preoccuparsi solo di procurarsi le medicine ordinate, prima di andarsene via sbattendo pure la porta. Ma il marito non fa neanche il tempo a recarsi nella più vicina farmacia per acquistare i medicinali prescritti, una mezzora tra andata e ritorno, e quando rientra, alle 17, trova la moglie con le labbra viola e la lingua di fuori, che non respira più. Disperato, chiama il 118 e, su indicazione dell’operatore, le pratica il massaggio cardiaco, continuando a premere sul suo petto per 45 interminabili minuti, il tempo che ci impiega l’ambulanza ad arrivare dal Pronto Soccorso di Portogruaro. Ma è tutto vano: la signora non reagisce e ai sanitari del Suem non resta che constatare il decesso. 

Il signor Renzo è distrutto dal dolore e chiuso nel suo immenso lutto, ma più passano i giorni e più aumentano i suoi dubbi e le recriminazioni per come la guardia medica ha gestito la situazione, e sul cui comportamento si era detto perplesso anche il medico del 118 intervenuto sul posto, che aveva persino chiamato il dott. B. J. per chiedergli spiegazioni sul suo operato, consigliando al coniuge della vittima di rivolgersi al Tribunale dei diritti del Malato all’ospedale di Portogruaro: cosa che questi farà, salvo però essere dissuaso dal presentare denuncia. 

Alla fine però il marito della signora decide di andare fino in fondo e, attraverso il responsabile della sede di San Donà di Piave, Riccardo Vizzi, si affida a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, e il 15 marzo 2018 viene presentato un esposto diretto all’autorità giudiziaria, presso la stazione dei carabinieri di Villanova di Fossalta di Portogruaro, con la richiesta di disporre gli accertamenti necessari per chiarire le cause del decesso e verificare eventuali profili di responsabilità penali in capo ai medici, con particolare riferimento alla guardia medica. 

La Procura di Pordenone, competente per territorio, ha quindi aperto un procedimento penale con l’ipotesi di reato di omicidio colposo, dapprima contro ignoti e poi a carico di B. J. e, com’era stato richiesto dal querelante, nei mesi successivi ha acquisito tutta la documentazione clinica nonché i tabulati telefonici e le registrazioni delle telefonate intercorse con la guardia medica, il registro delle uscite e quant’altro. Quindi, il 27 maggio 2020 il Pubblico Ministero, dott.ssa Monica Carraturo, ha affidato una consulenza medico legale per l’appunto al dott. Cirnelli, di cui nei giorni scorsi si è filmante potuto acquisire copia. 

Il Ctu, che ha potuto analizzare tutta la documentazione e ascoltare le chiamate, è durissimo nei confronti di B. J. Dalla chiamata, quella delle 12.01, “risulta subito inequivocabile – scrive Cirnelli – il tono insofferente del dott. B. J.”, che alle richieste di intervento del marito della signora De Antoni risponde: “appena abbiamo tempo, veniamo”. E aggiunge: “se è urgente, chiami il pronto soccorso”. Un modus operandi “assolutamente scorretto, dal punto di vista sia deontologico sia normativo” asserisce Cirnelli. 

Il consulente tecnico d’ufficio della Procura rammenta che le leggi che regolamentano l’attività dei medici addetti al servizio di guarda medica espongono che questi sono tenuti “ad effettuare al più presto tutti gli interventi che siano richiesti direttamente dall’utente o dalla centrale operativa entro il turno previsto”. Nello specifico, invece, “nel corso della telefonata il marito della paziente aveva precisato per tre volte che alla moglie mancava il respiro: un simile “input” integra automaticamente la definizione di un “codice rosso”. Risposte del tipo “se è grave chiami il Pronto Soccorso” risultano inaccettabili, perché assolutamente ingiustificate e ingiustificabili: in questi casi la necessità o meno di chiamare il 118 non può essere demandata al giudizio “atecnico” del richiedente ma deve essere avanzata immediatamente dal sanitario che risponde al telefono. Quanto mai censurabile risulta quindi il modus operandi espresso da detto sanitario, oltre che per il palese senso di insofferenza espresso nei confronti della richiesta di intervento, e anche e soprattutto per la non corretta gestione del sintomo rappresentato (mancanza di fiato) e quindi per l’inerzia operativa mostrata nei confronti di un sintomo necessitante per definizione di immediato ed indifferibile inquadramento diagnostico”. 

Un comportamento ancora più grave, secondo il dott. Antonello Cirnelli, “considerando il fatto che nel corso della telefonata questi non ha avanzato alcuna domanda sull’anamnesi remota della paziente e quindi dei fattori di rischio presenti. Ove questi dati fossero stati richiesti, e correttamente ponderati, il dott. B. J. non avrebbe non potuto considerare il rischio connesso a tali patologie: infarto miocardico, embolia polmonare, dissezione aortica”.

Non meno critica la valutazione sull’operato della guardia medica durante l’intervento a casa della vittima. “In ordine alla prestazione fornita a domicilio – prosegue la perizia -, nel registro visite della Guardia Medica nulla risulta indicato alla voce “sintomatologia prospettata”. Dall’esame di tale documento si ricava solo nella voce “prestazioni erogate” la prescrizione di Fluibron più Bentelan. Le lacune certificative sono presenti non solo nel diario della Guardia medica ma risultano evidenti anche nel documento rilasciato alla paziente al termine della sua visita, dove nessuna annotazione è stata apposta alla voce “condizioni cliniche all’arrivo”, il che conferma quanto lamentato dal marito sul fatto che la moglie non era stata neppure visitata. Un’omissione tanto più grave per il fatto che, evidenzia ancora il Ctu, “la paziente presentava fattori di rischio importanti mai indagati dal dott. B J: ipertensione arteriosa, diabete di tipo B, obesità e difficoltà motorie. E la diagnosi di bronchite, non trova conferma, in termini di obiettività clinica, in alcun punto dei moduli certificativi redatti da tale sanitario”.

La tardività con cui è stato presentato l’esposto, e la conseguente mancata disposizione di un’autopsia, impedisce tuttavia, a detta del consulente tecnico, “l’accertamento preciso della causa di morte ma anche delle sue caratteristiche evolutive il 27 gennaio 2018 e i giorni precedenti, e risulta pertanto impossibile la definizione del giudizio “controfattuale”, necessario per sostenere un’accusa penale nei confronti di un sanitario, stabilendo cioè se, nel caso in cui la condotta fosse stata corretta, il paziente si sarebbe potuto salvare. “L’impossibilità di definire dal punto di vista tecnico la reale causa di morte rende vano qualsiasi giudizio sul nesso di causalità materiale esistente tra l’errore professionale commesso e il decesso, elidendo pertanto la possibilità di sostenere un giudizio penale in sede processuale”. “Ma la gravità del comportamento espresso dal medicoconclude con forza Cirnelli può però integrare una specifica segnalazione all’ordine territoriale competente” da parte del Pm. U’azione, almeno questa, che il marito della signora e Studio3A contano che la Procura adotti, fermo restando che su questa base sarà senz’altro intentata anche una causa civile nei confronti del medico e dell’Asl 4.

Caso seguito da:

Dott. Riccardo Vizzi

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Categoria:

Malasanità

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