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L’anziana mestrina e i figli vittime della “truffa del Pos”, ma i ladri sapevano nome, cognome, indirizzo, numero di carta e data di scadenza, tutti dati carpiti all’Azienda 

Come potevano conoscere, i criminali informatici, praticamente tutti i dati sensibili dei correntisti se non sfruttando le “falle” dei sistemi di sicurezza dell’Azienda? Eppure Poste Italiane non intende assumersi le proprie responsabilità restituendo la somma, oltre 5mila euro, carpita in modo truffaldino dal conto corrente postale di una povera novantatreenne mestrina cointestato con la figlia, vittime – e non sono le sole – della “truffa” del “Pos”. 

I fatti risalgono allo scorso febbraio. L’anziana riceve nell’abitazione in centro storico dove risiedeva prima – si è di recente trasferita in terraferma – una raccomandata contenente la nuova carta di debito, in quanto quella che aveva in uso era – effettivamente – in scadenza alla fine del mese. La busta contiene la nuova carta fisica, con nome e cognome della signora, e tutte le informative generalmente associate alle Postapay, con il relativo numero verde da chiamare per procedere all’attivazione. 

Non sospettando in alcun modo si tratti di un raggiro, visto la totale corrispondenza alla realtà di tutta una serie di circostanze, non ultima l’imminente scadenza della carta, il figlio della novantatreenne chiama il numero verde seguendo le istruzioni ricevute prima da un’operatrice “fisica” e poi dall’operatore automatico a cui viene trasferita la telefonata. E fornisce in buona fede i dati richiesti, nome e cognome dell’intestatario, le ultime quattro cifre del vecchio documento e il Pin. La chiamata tuttavia non va a buon fine, all’operatore il Pin risulta errato, e pertanto il figlio dell’anziana, dopo alcuni tentativi, desiste, la cosa finisce lì e non gli dà più di tanto peso.

Ma a fine marzo arrivano le brutte sorprese, con la lista dei movimenti del conto postale eseguita dalla figlia della signora, da cui risultano ben 16 operazioni di addebito mai effettuate ed eseguite tra il 22 e il 25 marzo, per un ammanco di ben 5.455,76 euro. I prelievi, per la cronaca, sono stati effettuati tutti tra Napoli, Pozzuoli e Gugliano, presso negozi, ristoranti e persino – direttamente – in diversi uffici postali della zona. 

I figli della signora provvedono subito, attraverso il call center di Poste Italiane, a boccare la carta, e a informare dell’accaduto gli operatori dell’ufficio postale numero 8 di Mestre, quello in via Torino, presso il quale è “radicato” il conto della madre, e quindi si recano presso gli uffici della Polizia postale per sporgere formale denuncia-querela, consegnando tutti i documenti. Come da indicazioni ricevute dagli addetti dell’azienda, poi, i malcapitati procedono a disconoscere le operazioni truffaldine tramite comunicazione Pec, senza però ottenere alcun rimborso. 

A quel punto, per essere assistiti, i truffati hanno deciso di affidarsi, attraverso il responsabile della sede di Mestre, Riccardo Vizzi, a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, che, attraverso i propri servizi legali, ha diffidato Poste Italiane a rimborsare subito la cifra sottratta dal conto, alla luce dell’evidente responsabilità dell’Azienda. Perché è vero che si è trattato di una truffa ben congegnata da una banda di professionisti del settore, ma è altrettanto vero che essa è stata resa possibile dalla grave e preoccupante violazione da parte dei criminali telematici della rete di sicurezza e della banca dati dell’Azienda e dall’illecita captazione dei dati sensibili in suo possesso, tra cui nome e cognome del correntista, persino l’indirizzo, il numero di conto corrente postale e di carta di debito con la relativa data di scadenza: un furto di dati avvenuto chiaramente dall’interno, attraverso accessi illegittimi e non autorizzati, per evitare il quale le Poste non hanno evidentemente adottato sistemi di controllo e di prevenzione adeguati. 

Risultato? Praticamente nessuno. Pur avendo fornito all’azienda tutta la documentazione necessaria, l’ufficio Reclami ha preteso che si rifacesse la procedura, peccato che il numero verde indicato risulti incontattabile e il portale nella sezione “Scrivici” non accetti richieste oltre un tot di caratteri, tali da non consentire all’utente di esporre adeguatamente il proprio caso, né allegati. Di qui una ulteriore e definitiva diffida a ri-accreditare la somma rubata, ma da allora, e sono passati ormai quasi due mesi, zero risposte. Dopo tutto quello che hanno dovuto passare, l’ultranovantenne e i suoi figli saranno pure costretti ad adire le vie legali. 

Caso seguito da:

Dott. Riccardo Vizzi

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Contenziosi con Aziende

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