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Nel maggio del 2017 aveva destato scalpore la vicenda di un bambino di sette anni, di Cagli, nel Pesarese, affetto da una semplice otite che però il suo medico aveva curato con la sola omeopatia: il bimbo, dopo 15 giorni, è entrato in coma e dopo pochi giorni e deceduto per per encefalite all’ospedale Salesi di Ancona.

L’Ordine dei medici di Pesaro aveva subito sospeso per sei mesi il dottore per la violazione degli art. 15 e 33 del codice deontologico. Due le colpe contestate al medico: non aver curato il bimbo al meglio, garantendo la guarigione, ossia somministrando antibiotici di fronte all’aggravarsi della patologia, e di non aver informato i genitori dei rischi che il piccolo stava correndo. Il provvedimento tuttavia non era immediatamente efficace vista la possibilità del sanitario di impugnarlo, come in effetti avrebbe fatto.

La vicenda è approdata fino in Cassazione, ma la Suprema Corte ha ritenuto adeguata la misura cautelare della sospensione dalla professione per il medico ostinatosi a curare il piccolo paziente affetto da otite con medicinali omeopatici fino alla sua morte per ascesso cerebrale.

Nella recente sentenza numero 27420/2018 i giudici di legittimità hanno infatti confermato la decisione di applicare tale misura, presa anche dal Gip di Ancona e poi confermata dal Tribunale della libertà, per evitare il pericolo di reiterazione del reato da parte del sanitario, accusato peraltro di omicidio colposo per aver posto in essere tale condotta.

Il medico, per di più, aveva fatto ricorso a diagnosi telefoniche senza visitare il bambino, non aveva prescritto la terapia antibiotica neanche dopo averlo visitato e si era ostinato a somministrargli medicinali omeopatici secondo uno schema che, per i giudici del Tribunale, aveva rivelato la sua convinzione che la terapia omeopatica fosse superiore rispetto a quella tradizionale con antibiotici. In tal modo aveva violate le indicazioni dei protocolli medici, in forza dei quali dopo cinque giorni da quando sia constatata l’inefficacia della terapia omeopatica bisogna passare a quella tradizionale.

Nel caso di specie, oltretutto, il medico aveva tentato di occultare degli elementi in grado di fare chiarezza sulla vicenda, dimostrando di non aver sottoposto il proprio operato ad alcun vaglio critico idoneo a far ritenere che la condotta tenuta non sarebbe stata reiterata in futuro.

La Corte di Cassazione ha quindi confermato la misura cautelare della sospensione dall’esercizio della professione, precisando che “anche in materia di colpa professionale è possibile una prognosi di reiterazione dei comportamenti in relazione alle caratteristiche della struttura in cui il professionista opera e al comportamento da questi tenuto nel caso oggetto di giudizio“.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Malasanità

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