Se si cade sul marciapiede attiguo ad un condominio chi risponde dei danni? Con una recente ordinanza, la numero 2328/18, la Cassazione, III sezione Civile, ha fornito una serie di chiarimenti sulla custodia e responsabilità per i danni causati dall’omessa manutenzione dei marciapiedi.
Com’è noto, il custode risponde dei danni cagionati, ex art. 2051 Cc, in virtù della “signoria” che esercita sulla cosa ed, in particolare, in relazione al potere di controllo sulla stessa e, pertanto, per la possibilità di eliminare i pericoli da essa derivanti.
Ciò posto, per quanto concerne la custodia dei marciapiedi – ivi compresi quelli attigui agli edifici condominiali – per principio generale la giurisprudenza è da tempo attestata nel ritenere che “gli obblighi di manutenzione dell’ente pubblico proprietario di una strada aperta al pubblico transito, al fine di evitare l’esistenza di pericoli occulti, si estendono ai marciapiedi laterali, i quali fanno parte della struttura della strada, essendo destinati al transito dei pedoni. Ne consegue che del danno cagionato da buche sussistenti sul marciapiede non risponde il condominio dell’antistante stabile, il quale non è pertanto passivamente legittimato nel giudizio promosso ai fini del relativo risarcimento” (Cass. n. 16226/2005
Questo perché l’art. 14 del Codice della strada, ma anche gli artt. 16 e 28 L. n. 2248/1865 e, per quanto concerne i Comuni, l’art. 5 R.D. 2506/1923, dispongono che, per assicurare la sicurezza degli utenti della strada, la pubblica amministrazione, quale proprietaria, ha l’obbligo di provvedere alla relativa manutenzione e, se del caso, segnalare qualsiasi situazione di pericolo o di insidia (Cass. n. 5445/2006).
Tuttavia, tale custodia può anche far capo a diversi soggetti, a pari o diverso titolo, e ciò avviene quando per gli stessi coesiste il potere di gestione e di ingerenza sul bene che, come visto sopra, rappresenta ai sensi dell’art. 2051 Cc il criterio di imputabilità per i danni cagionati a terzi da cosa in custodia. Ma questo non consente di affermare tout court come anche il mero utilizzatore del bene possa incorrere in tali responsabilità qualora la possibilità di utilizzo sia stata concessa dal custode che, però, per specifico accordo o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione di fatto, ha conservato effettivamente la custodia.
Questi in buona sostanza i principi ribaditi nell’ordinanza dalla Corte di Cassazione, che si è trovata ad affrontare una vicenda particolare partita da una citazione in causa innanzi al Tribunale di Sassari nei confronti dell’Ente comunale per vederlo condannare al risarcimento dei danni patiti da parte di una donna a seguito di una scivolata su di una grata metallica presente sul marciapiede, apposta – a seguito di permesso di occupazione del suolo pubblico – da un condominio per arieggiare il cavedio dell’erigendo edificio condominiale.
Instaurato il contraddittorio, con la chiamata in causa della propria compagnia di assicurazioni e del condominio da parte del Comune, il Tribunale ha affermato la responsabilità esclusiva del condominio stesso nella causazione del sinistro. Sul gravame proposto dal condominio, e incidentalmente dalla stessa danneggiata, la Corte d’Appello di Sassari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riteneva ex art. 2051 Cc responsabili solidalmente sia il condominio sua il Comune.
Un singolo condomino ha quindi proposto ricorso in Cassazione deducendo, tra l’altro, l’erronea interpretazione dell’art. 2051 Cc, per avere la corte territoriale a suo dire scorrettamente qualificato come custode della grata metallica “incriminata” anche il condominio.
La Suprema Corte nell’ordinanza ha premesso che “che una esclusiva proprietà condominiale può ipotizzarsi – ai sensi dell’art. 1117 cod. civ. – sicuramente per il cavedio a copertura del quale era posta la grata (Cass. Sez. 2, sent. 1° agosto 2014, n. 17556, Rv. 631830-01), ma non per quest’ultima, trattandosi di parte integrante del marciapiede, bene appartenente al Comune in quanto pertinenza della pubblica strada (Cass. Sez. 3, sent. 21 luglio 2006, n. 16770, Rv. 591472-01). La questione è se possa ammettersi, accanto alla responsabilità ex art. 2051 cod. civ. del proprietario/Comune, una concorrente responsabilità del condominio (o meglio, dei singoli condomini), ed eventualmente su quali basi”.
Ciò posto, la Suprema Corte afferma come, “ai fini di un corretto inquadramento della questione occorre muovere dalla constatazione che, in “caso di sinistro avvenuto su strada, dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente relativa manutenzione il proprietario (art. 14 del codice della strada) o il custode (tale essendo anche il possessore, il detentore e il concessionario) risponde ex art. 2051 cod. civ., in ragione del particolare rapporto con la cosa che al medesimo deriva dalla disponibilità e dai poteri di effettivo controllo sulla medesima, salvo che dalla responsabilità presunta a suo carico esso si liberi dando la prova del fortuito” (Cass. Sez. 3, sent. 9 giugno 2016, n. 11802, Rv. 640205-01, in motivazione). Nondimeno, si è pure affermato che “detta custodia può far capo a più soggetti a pari titolo, o a titoli diversi”, a condizione “che importino tutti l’attuale (co)esistenza di poteri di gestione e di ingerenza”, visto che il “criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati a terzi da cosa in custodia è la disponibilità di fatto e giuridica sulla cosa, che comporti il potere-dovere di intervenire” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 10 febbraio 2003. n. 1948, in motivazione; in senso conforme, Cass. Sez. 3, sent. 20 novembre 2009, n. 24530, Rv. 610784-01)”.
Ora, non vi è alcun dubbio in relazione alla circostanza per la quale la grata fa parte integrante del marciapiede, né che la stessa sia stata apposta, previa concessione, per assicurare aria e luce al cavedio condominiale e, pertanto, che il condominio effettivamente utilizza detta grata.
Quanto detto “tuttavia, equivale non ad affermare che l’utilizzatore della cosa sia “necessariamente anche il custode” della stessa, ma invece a riconoscere che siffatta evenienza deve escludersi qualora “il potere di utilizzazione della cosa è derivato all’utilizzatore da chi ha l’effettivo potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa (e cioè dal custode) e questi, per specifico accordo o per la natura del rapporto o anche più semplicemente per la situazione fattuale che si è determinata, ha conservato effettivamente la custodia”, restando, peraltro, inteso che costituisce “un accertamento fattuale riservato al giudice di merito stabilire se nel caso concreto l’utilizzatore di un determinato bene, sia divenuto anche il custode dello stesso” (così, testualmente, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 10 febbraio 2003, n. 1948, Rv. 560351-01, in motivazione)”.
Nel caso di specie, secondo gli Ermellini, nessun errore può essere pertanto imputato alla corte territoriale, avendo la stessa riconosciuto, ex art. 2051 Cc, una responsabilità solidale sia del condominio che del Comune sulla scorta della circostanza per cui quest’ultimo non abbia affatto riservato a sé, in via esclusiva, la custodia della grata.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
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