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Le radiografie sono ovviamente uno strumento essenziale per la cura di un paziente, si pensi solo all’individuazione delle fratture, ma le radiazioni ionizzanti utilizzate per ottenere la visuale interna dell’organismo non fanno bene, ragion per cui i cosiddetti “raggi” vanno limitati allo stretto necessario e non se ne può fare un utilizzo indiscriminato.

Lo ha riaffermato con forza anche la Cassazione, con una recente sentenza, la n. 36820/22 depositata il 29 settembre 2022, con la quale ha confermato la condanna alla pena, condizionalmente sospesa, di tremila euro di ammenda comminata nel 2021 dal tribunale di Palermo a un dentista, ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 14, co. 1, d. Igs. 187/2000, per aver esposto nel 2016 numerosi pazienti a radiazioni ionizzanti con apparecchiature “Cone beam” senza giustificarne il ricorso, senza documentare esigenze diagnostiche e senza valutare i potenziali vantaggi diagnostici o terapeutici.

 

Dentista ricorre in Cassazione contro una condanna per uso non giustificato di radiografie

Il professionista ha proposto ricorso appunto per Cassazione sostenendo che i giudici avrebbero erroneamente interpretato la disciplina giuridica ed i presupposti per l’applicabilità della norma in esame, non motivando logicamente circa l’attribuibilità all’imputato delle condotte contestate. Il ricorrente ha ricordato che la normativa in esame prevede che per attività diagnostiche complementari, tra cui quella in questione, si debbano intendere “l’attività di ausilio diretto al medico chirurgo specialista o all’odontoiatra per lo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina, purché contestuali, integrate e indilazionabili rispetto all’espletamento della procedura specialistica“, evidenziando come la sentenza impugnata, a suo dire, pur prodigandosi a fornire un’interpretazione del significato e contenuto di tali caratteristiche delle attività diagnostiche complementari usate per l’espletamento della professione odontoiatrica, sarebbe giunta alla decisione di condanna senza spiegarne il motivo, non venendo individuata la condotta che sarebbe stata posta in essere dal ricorrente in violazione della normativa o il perché egli avrebbe agito in assenza dei requisiti espressamente richiesti o interpretando in modo esageratamente estensivo i requisiti stessi.

L’odontoiatra giustifica il suo operato indispensabile per fini diagnostici

L’odontoiatra, al riguardo, ha lamentato il fatto che il giudice non avesse preso in esame quanto egli aveva dichiarato in udienza, spiegando le ragioni a fondamento dell’utilizzo dell’apparecchiatura diagnostica in questione e le circostanze per le quali il suo uso era da ritenersi contestuale, integrato e non dilazionabile, ed evidenziando come ciascuno dei suoi pazienti fosse stato sottoposto all’uso della Cone Beam per fini diagnostici in materia odontoiatrica, dal momento che l’esito dell’esame era fondamentale per conoscere le condizioni in cui si trovava il paziente e l’applicabilità di un determinato piano terapeutico. Secondo il dentista, non si poteva cioè prescindere da un’accurata analisi delle condizioni della struttura ossea della bocca, prima di valutare l’entità e la fattibilità di un intervento implantologico, essendo l’esame diagnostico in questione un presupposto della diagnosi, ed anche della valutazione medico odontoiatrica circa il piano terapeutico da seguire. La motivazione sul punto della sentenza sarebbe stata dunque apparente, non avrebbe spiegato perché la normativa sarebbe stata violata dalle condotte del ricorrente, trascurando di analizzare le sue finalità e la sua ratio. Inoltre, il professionista ha contestato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, pur avendo tenuto una condotta processuale corretta nonché una perfetta contabilità delle attività svolte.

 

Le sanzioni previste per le esposizioni non giustificate alle radiazioni ionizzanti

Per la Suprema Corte tuttavia tutte le doglianze sono infondate. Gli Ermellini evidenziano preliminarmente che il d. Igs. 187/2000 è stato abrogato dal D.Igs. 31 luglio 2020, n. 101, entrato in vigore il 27 agosto 2020, con cui è stata recepita la Direttiva 2013/59/Euratom (norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti). La previsione dell’’art. 14, d. Igs. 187/2000, oggetto di contestazione, già abrogata all’epoca di pronuncia della sentenza (art. 243, d. Igs. 101/2020), è oggi contemplata, in rapporto di continuità normativa, dal nuovo art. 213, comma 1, d. Igs. n. 101/2020. In particolare, è l’art. 7 del d.lgs. 101/2020, con previsione sovrapponibile all’abrogato art. 2, comma 1, lett. b), d. Igs. 187/2000, a definire al comma 1, n. 8, come “attività radiodiagnostiche complementari” quelle “attività di ausilio diretto al medico specialista o all’odontoiatra per lo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina, purché contestuali, integrate e indilazionabili, rispetto all’espletamento della procedura specialistica”, definizione peraltro corrispondente letteralmente a quella già esistente nell’abrogato d. Igs. 187/2000.

La disciplina applicabile al caso in esame, prosegue nell’inquadramento del caso la Cassazione, è quella contenuta nell’attuale Tit. XIII del d. Igs. 101/2020 relativo alle “esposizioni mediche” i cui articoli 157 e 158 riproducono pressoché letteralmente le omologhe previsioni degli artt. 3 e 4 dell’abrogato d. Igs. 187/2000. L’art. 159, comma 13, d. Igs. 101/2020, con disposizione sostanzialmente analoga a quella dell’abrogato art. 7, co. 4, d. Igs. n. 187/2000, aggiunge poi che “le attività radiodiagnostiche complementari all’esercizio clinico possono essere svolte dal medico chirurgo in possesso della specializzazione nella disciplina in cui rientra l’attività complementare stessa, o dall’odontoiatra nell’ambito della propria attività professionale specifica. Nell’ambito di dette attività non possono essere effettuati esami per conto di altri soggetti o professionisti sanitari pubblici o privati, né essere redatti o rilasciati referti radiologici“.

La violazione contestata era relativa, in particolare, come si è detto, alla mancata ottemperanza agli obblighi di giustificazione ed ottimizzazione, contemplati dall’abrogato d. Igs. 187/2000 agli artt. 3 e 4, e oggi dai corrispondenti articoli 157 e 158, d. Igs. n. 101/2020. La disciplina sanzionatoria, specifica poi la Suprema Corte, è oggi contemplata dall’art. 213, d. Igs. 101/2020 che, per quanto concerne la violazione dell’art. 157, co. 1 (ossia in caso di esposizione non giustificata), prevede attualmente una sanzione maggiormente afflittiva rispetto a quella prima contemplata dall’abrogato art. 14, d. Igs. 187/2000 (ossia con l‘arresto da sei mesi ad un anno o con l’ammenda da 20mila a 60mila euro a fronte della previsione dell’art. 14 della sanzione alternativa dell’arresto sino a tre mesi o del l’ammenda da cinque a venti milioni di vecchie lire).

 

Le attività radiografiche non erano “contestuali, integrate e indilazionabili”

Sussiste, dunque, piena continuità normativa tra la previsione sanzionatoria dell’art. 213, comma primo, d. Igs. n. 101/2020 e l’abrogato art. 14, comma primo, d. Igs. 187/2000. 2.2” concludono le loro premesse i giudici del Palazzacio che, entrando nel caso specifico, reputano non convincenti le argomentazioni del ricorrente. La Suprema Corte ritiene infatti sufficientemente chiarite dal giudice territoriale le ragioni per le quali l’esposizione dei pazienti dell’imputato all’esame radiodiagnostico eseguito con l’apparecchiatura “Cone Beam” non potevano essere considerate “giustificate” e difettassero dei requisiti previsti dalla normativa sulle attività radiodiagnostiche complementari (quale quella eseguita con l’apparato radiodiagnostico in questione) di ausilio diretto all’odontoiatria per lo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina, ossia non fosserocontestuali, integrate e indilazionabili, rispetto all’espletamento della procedura specialistica“.

In particolare, secondo la Cassazione, si deve intendere per “contestuale” tutto quello che “avviene nell’ambito della prestazione stessa ed ad essa rapportabile. Il requisito della “contestualità” attiene sia l’ambito temporale in cui si sviluppa la prestazione strumentale specialistica, sia anche l’ambito funzionale necessario al soddisfacimento delle finalità della stessa prestazione. Funzionalmente l’uso della pratica complementare deve essere connotato dall’essere un elemento di ausilio alla prestazione stessa, in quanto in grado di apportare elementi di miglioramento o arricchimento conoscitivo, utili a completare e/o a migliorare lo svolgimento dello stesso intervento specialistico di carattere strumentale. Ulteriore requisito richiesto per legittimare l’esecuzione di accertamenti radiodiagnostici complementari è rappresentato inoltre dalla necessaria condizione che la pratica complementare, per risultare utile ed efficace, deve risultare funzionalmente non dilazionabile in tempi successivi rispetto all’esigenza di costituire un ausilio diretto ed immediato al medico specialista o all’odontoiatra per l’espletamento della procedura specialistica stessa (dovendo come prescritto risultare indilazionabile)” spiegano gli Ermellini.

Pertanto, per riassumere, devono ritenersi giustificate ed ammesse solo quelle pratiche complementari che, per la loro caratteristica di poter costituire un valido ausilio diretto ed immediato per lo specialista, presentino il requisito sia funzionale che temporale di essere “contestuali”, “integrate” ed “indilazionabili” rispetto allo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina.

 

In 12 casi contestati su 25 i pazienti poi non erano stati sottoposti ad alcun trattamento

Sulla base di queste considerazioni, per la Suprema Corte è stata ritenuta correttamente integrata la fattispecie contestata all’odontoiatra in questione, “il quale ha sottoposto i propri pazienti alle radiazioni ionizzanti in assenza dei requisiti espressamente richiesti dalla normativa di riferimento o, come efficacemente ha evidenziato dal giudice di merito, interpretando in modo esageratamente estensivo i requisiti stessi”. Infatti, “pur potendo in astratto riconoscersi la sussistenza del requisito dell’integrazione dell’attività radiodiagnostica complementare svolta, nel caso di specie difettavano sicuramente i requisiti della contestualità e indilazionabilità”, come dimostrato dalla circostanza che su 25 pazienti, ben 12 di essi, pur essendo stati sottoposti all’esame, non avevano poi effettuato alcun trattamento odontoiatrico.

Per la cronaca, rigettata anche la doglianza circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, perché – ricorda la Cassazione – “l’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio: ne discende, dunque, che in assenza di espressa richiesta da parte dell’imputato (il cui legale non aveva avanzato richieste in tal senso al tribunale, ndr), nessun dovere vi è per il giudice di riconoscere le predette attenuanti, né tantomeno di motivarne il mancato riconoscimento”.

Ricorso pertanto rigettato e pene confermate.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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