Hai bisogno di aiuto?
Skip to main content

Chi si mette al volante non deve solo rispettare le norme della circolazione ma deve anche mettersi in strada con veicoli in condizioni idonee a garantire la sicurezza propria e altrui. Lo ha riaffermato con forza la Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 46190/23 depositata il 16 novembre 2023 condannando definitivamente un camionista.

Camionista condannato per omicidio stradale

L’imputato era stato condannato per il reato di omicidio stradale, peraltro con l’aggravante della guida in stato di ebbrezza, dal Tribunale di Salerno, con sentenza poi confermata dalla Corte d’appello cittadina, per aver causato un terribile incidente stradale nell’ottobre 2014 in cui avevano perso la vita tre persone.

Più precisamente, l’autotrasportatore aveva perso il controllo dell’autoarticolato che stava guidando a causa del distacco delle ruote, con conseguente e fatale invasione della corsia opposta dove sopraggiungeva il veicolo delle vittime.

Il Tir aveva perso due ruote ma l’autista non si era fermato (prima) nonostante le vibrazioni

Dunque un guasto meccanico, ma gli si imputava di aver colpevolmente trascurato le vibrazioni e il forte rumore che proveniva dall’assale posteriore destro del trattore stradale del suo mezzo pesante, chiaro segno premonitore della possibile avulsione della coppia di ruote poste sullo stesso assale, di non aver regolato l’andatura e finanche di non essersi fermato.

Nella realtà la condanna da parte dei giudici territoriali era già stata impugnata una prima volta dal camionista per Cassazione. Questa, però, aveva cassato la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno perché verificasse e approfondisse – punto, questo, ritenuto lacunoso -, se i malfunzionamenti che l’imputato aveva segnalato all’officina aziendale (dove il camion, solo poche settimane prima del tragico incidente, era stato sottoposto ad un intervento di riparazione) presentassero analogie sintomatiche con le anomalie emerse in occasione del sinistro e descritte dal consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero e se, sulla base delle rassicurazioni ricevute in quella circostanza sull’efficienza del veicolo, vi fossero realmente motivi di allarme tali da dover indurre il conducente a modificare il proprio assetto di guida in seguito alle forti vibrazioni a fermarsi per controllare cosa stesse succedendo.

Esame che la Corte territoriale ha dunque compiuto, confermando tuttavia alla fine, con seconda sentenza del gennaio 2023, la dichiarazione di penale responsabilità dell’imputato. E applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, lo ha condannato alla pena di un anno e dieci mesi di reclusione.

 

L’imputato ricorre in Cassazione incolpando i meccanici che avevano riparato da poco il mezzo

Il camionista tuttavia ha proposto nuovamente ricorso per Cassazione, sostenendo che i giudici avrebbero erroneamente valutato il contenuto delle dichiarazioni del Ctu del Pm. Egli aveva escluso sia anomalie o criticità relative al montaggio ed alla stabilità delle ruote rilevabili o attribuibili all’intervento di manutenzione – essendo stato eseguito 5.400 chilometri prima dell’incidente (nel qual caso il problema si sarebbe dovuto verificare prima) -, sia, proprio per “la normalità” e ordinaria amministrazione di questa riparazione, vibrazioni, rumori e malfunzionamenti sovrapponibili o simili a quelli manifestatisi nei minuti precedenti all’avulsione delle ruote.

Il ricorrente sosteneva che i testi, in particolare uno dei meccanici che avevano riparato il mezzo, avrebbero avvalorato le sue dichiarazioni circa il fatto di essere stato rassicurato su possibili vibrazioni o rumori provenienti dal trattore poi causa dell’incidente, in quanto l’autoarticolato era stato sottoposto, su sua stessa richiesta, pochi giorni prima del sinistro, a manutenzione, con conseguente sostituzione sia di un ammortizzatore dell’asse anteriore, sia delle ruote posteriori, subito dopo la riparazione era stato consegnato ad altro autista, senza verificarne il funzionamento, e trascorso qualche giorno gli era stato riconsegnato da quest’ultimo  senza alcuna segnalazione di problemi di funzionamento.

E invoca il caso fortuito e la forma maggiore

In buona sostanza, la responsabilità doveva piuttosto essere riconosciuta a chi aveva effettuato la manutenzione del mezzo secondo l’imputato che, soprattutto, ha lamentato la mancata applicazione degli istituti della forza maggiore e del caso fortuito, asserendo che il consulente tecnico avrebbe escluso sia l’esistenza di fattori di allarme per l’imputato immediatamente prima del sinistro, sia la rilevanza della velocità, e che, perciò, l’evento sarebbe  stato determinato da una concatenazione di eventi ai quali egli non poteva opporsi.

Ma la Suprema Corte rigetta le doglianze

Ma la Suprema corte questa volta ha rigettato le doglianze, a cominciare dal primo motivo di ricorso –  nel quale il ricorrente contestava la configurabilità di una condotta colposa a suo carico sostenendo che non avrebbe avuto particolari ragioni per fermarsi prima di perdere il controllo del veicolo – e ha ritenuto esaustivo l’approfondimento richiesto al giudice del rinvio e condotto con una istruttoria ad hoc che ha visto un nuovo esame del consulente tecnico del Pubblico Ministero, nonché dei testi, tutti addetti all’officina in cui era avvenuta l’ultima manutenzione del veicolo.

 

La manutenzione era stata di routine, l’autista non poteva essere stato rassicurato su vibrazioni

In estrema sintesi, è emerso che l’intervento di manutenzione effettuato poche settimane prima del tragico incidente in realtà era stato costituito dal cambio dell’intero treno gomme del camion, quindi era stato di mera routine; è stato escluso che la riparazione si fosse conclusa con un insufficiente serraggio dei dadi, dal momento che il camion aveva percorso successivamente senza problemi altri 5.400 km., e, quindi, era stato impiegato per un tempo molto superiore a quello nel quale si sarebbero staccate le ruote se la loro avulsione fosse stata causa dai dadi mal serrati; è stato quindi evidenziato che, vista la “normalità” della manutenzione effettuata in officina, al camionista non potevano essere stati segnalati problemi di malfunzionamento sovrapponibili o simili a quelli che si erano palesati nei minuti precedenti alla perdita delle ruote ed è stato escluso anche che gli pneumatici montati in occasione della manutenzione potessero comportare problemi di alcun genere.

I meccanici, poi, avevano escluso di aver ricevuto in occasione dell’intervento di manutenzione, da parte del camionista segnalazioni di anomalie, o di aver notato deformazioni o altri problemi impattanti l’assetto delle ruote, hanno aggiunto che avrebbero senz’altro notato anomalie o malfunzionamenti incidenti sulla stabilità delle ruote, avendo proceduto alla loro sostituzione, e avevano escluso espressamente sia di aver ricevuto dall’imputato segnalazione di problemi concernenti l’assetto delle ruote, sia, più in generale, di aver mai parlato con lo stesso prima o dopo la manutenzione, e, quindi, di averlo rassicurato dopo l’intervento circa eventuali possibili rumori o vibrazioni future, perché questi sarebbero stati da ascriversi alla diversa misura dei nuovi pneumatici.

 

A fronte delle avvisaglie, era “umanamente esigibile” dall’imputato l’arresto della marcia

Le conclusioni della sentenza impugnata – spiega dunque la Cassazione – in questa sede sono immuni da vizi, avendo chiarito, sulla base di precisi elementi e di regole di esperienza e di tecnica sicuramente accettabili, che l’avulsione delle ruote del veicolo guidato dall’imputato, dalla quale scaturì l’incidente, fu preceduta da vibrazioni e rumori continui avvertibili per un apprezzabile lasso di tempo dal medesimo imputato; che questi non aveva ricevuto alcuna preventiva rassicurazione su tali rumori, e ragionevolmente non poteva trarla in via implicita dagli interventi precedentemente effettuati sul trattore. Era quindi umanamente esigibile da parte dell’imputato lo specifico comportamento prudente costituito dall’attivazione dei comandi di arresto del mezzo di locomozione”.

Nessun caso fortuito se l’agente vi ha concorso con una condotta negligente e imprudente

Rigettato quindi dalla Suprema Corte anche le censure circa il mancato riconoscimento del caso fortuito e della forza maggiore, deducendo l’omessa considerazione delle dichiarazioni del consulente tecnico del Pubblico Ministero laddove avrebbero escluso, secondo il ricorrente, fattori di allarme per l’imputato immediatamente prima del sinistro, nonché la rilevanza della velocità, di poco superiore ai limiti massimi consentiti.

In realtà, spiegano i giudici del Palazzaccio, “il consulente tecnico del Pubblico Ministero non solo non ha escluso la presenza di fattori di allarme per l’imputato immediatamente prima del sinistro, ma li ha precisamente rilevati ed indicati, individuandoli nei rumori e nelle vibrazioni avvertibili per un significativo lasso di tempo”. L’esistenza di questi specifici fattori di allarme e la loropercepibilitàda parte dell’imputato per un “non brevissimo lasso di tempo, è stata inoltre affermata “anche sulla base di ulteriori elementi di prova e di specifiche valutazioni tecniche” rimarcano gli Ermellini.

Pertanto,  conclude la Cassazione, “la percepibilità di rumori e vibrazioni “sospette” per un apprezzabile lasso di tempo da parte dell’imputato, la possibilità per il medesimo di fermare il mezzo da lui guidato, e la ragionevolezza di ricorrere a tale condotta in via prudenziale, nonché l’idoneità della stessa ad evitare l’evento lesivo poi verificatosi, indipendentemente dalla irrilevanza del superamento dei limiti di velocità, sono elementi che, unitariamente considerati, escludono la possibilità di configurare il caso fortuito o la forza maggiore”.

Infatti, “non costituisce caso fortuito, tale da escludere la punibilità dell’agente, quello cui lo stesso abbia dato causa con la sua condotta negligente o imprudente, Inoltre, in termini analoghi, il caso fortuito consiste in quell’avvenimento imprevisto e imprevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all’attività psichica dell’agente. Inoltre, l’esimente della forza maggiore di cui all’art. 45 cod. pen., sussiste in tutte le ipotesi in cui l’agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti dalla sua volontà non vi era la possibilità di impedire l’evento o la condotta antigiuridica, e comunque si concreta in un evento derivante dalla natura o dall’uomo che, pur se preveduto, non può essere impedito”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

Vedi profilo →

Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

Condividi

Affidati a
Studio3A

Nessun anticipo spese, pagamento solo a risarcimento avvenuto.

Contattaci

Articoli correlati


Skip to content