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Il credito da risarcimento del danno da incidente stradale può essere ceduto, il cessionario può rivendicarne il pagamento anche giudizialmente, la cessione non è un’operazione di finanziamento ma il mezzo di pagamento delle prestazioni di riparazione sul veicolo incidentato da parte del carrozziere, e il cessionario può essere anche un consorzio “terzo” che fa gli interessi delle imprese di autoriparazione.

E’ una sentenza importante quella, la n. 27892/23 depositata il 3 ottobre 2023, con cui la Cassazione ha ribadito e chiarito una serie di punti fondamentali su questa opportunità, la cessione del credito appunto, prevista dalla legge e molto utilizzata da chi ha subito danni materiali in seguito a un sinistro (e dai titolari delle officine meccaniche) per ottenere subito la riparazione del mezzo senza dover attendere la liquidazione del risarcimento dall’assicurazione, in mancanza della quale spesso non si dispone delle somme necessarie, tanto più se il danno è particolarmente grave.

Automobilista coinvolta in un sinistro cede il suo credito a un Consorzio di carrozzerie

Il contenzioso di cui si sono occupato gli Ermellini traeva origine da un sinistro stradale occorso nell’aprile del 2012 a Fasano, nel Brindisino, in seguito al quale la vettura, una Opel Agila, di una automobilista era rimasta danneggiata. Con convenzione del maggio seguente, la donna aveva ceduto il suo credito (l’incidente era stato causato dalla controparte) ad un Consorzio di e tra dieci officine di autoriparazione della zona che si impegnava, come da convenzione stipulata, “a rifondere alla danneggiata gli importi conseguiti dai debitori e relativi al risarcimento di tutti i pregiudizi patrimoniali”.

Il quale cita in causa l’assicurazione che non intende risarcire il danno

Di fronte al diniego a risarcire il danno materiale, tuttavia, il Consorzio aveva citato in giudizio la compagnia di assicurazione designata all’epoca per la regione Puglia da Consap per la gestione del Fondo di Garanzia per le vittime della Strada, chiamata ad intervenire essendo risultato il veicolo di controparte sprovvisto di copertura assicurativa.

 

La compagnia sostiene che il Consorzio svolgeva attività vietata di concessione di finanziamenti

La compagnia si era costituita in giudizio e, oltre a chiedere nel merito il rigetto della domanda, aveva eccepito la nullità del contratto di cessione del credito e il difetto di legittimazione attiva del concessionario, che è la questione che qui preme della vicenda. La tesi sostenuta dall’impresa assicurativa è che quella posta in essere dal Consorzio sarebbe stata qualificabile come attività di concessione di finanziamenti e come tale rientrante tra le attività che, a mente dell’art. 106 del Tub, il Testo Unico Bancario, necessitano di speciale autorizzazione, senza la quale è integrato il reato previsto e punito dall’art 132 della stesso Tub e sarebbe pertanto nullo il contratto di cessione del credito, con conseguente difetto di titolarità della pretesa creditoria in capo al Consorzio.

In appello i giudici accolgono la tesi dell’impresa assicurativa

Il giudice di pace aveva respinto questa eccezione preliminare, aveva istruito la causa mediante l’acquisizione delle produzioni documentali e infine, con sentenza del 2014, aveva condannato l’assicurazione al pagamento in favore del Consorzio della somma risarcitoria di 1.505 euro, oltre interessi legali e le spese processuali.

Di diverso avviso, invece, il Tribunale di Brindisi, avanti al quale la compagnia assicurativa aveva appellato la decisione di primo grado. I giudici di seconde cure, con sentenza del 2020, avevano accolto il gravame e l’eccezione preliminare dell’impresa assicurativa, ritenendo provato che il Consorzio anticipava (ossia prometteva di farsi carico) i costi di riparazione dei veicoli incidentati, che venivano riparati presso le carrozzerie convenzionate, consentendo in questo modo al danneggiato di fruire immediatamente del servizio di riparazione del proprio mezzo senza quindi corrispondere nell’immediatezza alcuna somma; che si rendeva cessionario del credito vantato dal danneggiato nei confronti del danneggiante e, in particolare, di un credito che comprendeva voci ulteriori, quale fermo tecnico e custodia, rispetto  a quelle afferenti la mera riparazione del mezzo, voci assolutamente legittime ma che, secondo i giudici, avrebbero comportato un “lucrare” sulla differenza tra i costi di riparazione e l’ammontare del credito risarcitorio vantato dal cedente; che svolgeva una simile attività su larga scala come comprovato dai numerosi giudizi risarcitori promossi.

 

Il Consorzio ricorre per Cassazione, che gli dà ragione piena

A questo punto il Consorzio ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo con forza che il giudice d’appello aveva confuso la cessione del credito con un’attività di finanziamento ai sensi del d. lgs. 385/1993 e precisando di non aver versato alcuna somma di danaro all’automobilista, con obbligo di restituzione dello stesso a scadenze pattuite e dietro corrispettivo di interessi, ma si era obbligato a fornirle una serie di servizi, quali curare le riparazioni della sua auto e attivare l’eventuale azione risarcitoria nei confronti del responsabile.

Il credito da risarcimento del danno da sinistro stradale è suscettibile di cessione

E la Suprema Corte ha accolto in pieno la doglianza, ribadendo innanzitutto che “il credito da risarcimento del danno da sinistro stradale è suscettibile di cessione, in ossequio al principio della libera cedibilità del credito stesso posto dall’art. 1260 cc. e seguenti”. Principio che, prosegue la Cassazione, non sussistendo alcun divieto normativo ostativo, è stato affermato “sia con riferimento alla cessione del diritto di credito al risarcimento del danno patrimoniale, in quanto è  stato posto in rilievo che, essendo esso di natura non strettamente personale, non sussiste specifico divieto normativo al riguardo e non rimane in tal caso integrata ipotesi di cessione di crediti litigiosi vietata ex art. 1261 c.c., sia con riferimento alla cessione del diritto di credito al risarcimento del danno non patrimoniale, in quanto la trasmissibilità iure hereditatis del diritto al risarcimento del danno morale terminale, del danno catastrofale e del danno biologico terminale depone nel senso di doversi corrispondentemente ammettere la relativa alienabilità anche mediante atti inter vivos”.

 

Il cessionario è legittimato ad agire in vece del cedente anche giudizialmente per ottenerlo

Pertanto, il cessionario è stato ritenuto “legittimato ad agire, in vece del cedente, per l’accertamento giudiziale della responsabilità dell’autore del sinistro e per la conseguente condanna del medesimo e del suo assicuratore per la Rca al risarcimento dei danni” continuano gli Ermellini, rammentando come di tale principio abbia preso atto di recente anche il legislatore con l’art. 1 comma 24 della legge 124 del 2017 che, ha introdotto nel Codice delle Assicurazioni private l’art. 149 bis, in base al quale, per citarlo, “in caso di cessione del credito derivante dal diritto al risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, la somma da corrispondere a titolo di rimborso delle spese di riparazione dei veicoli danneggiati è versata previa presentazione della fattura emessa dall’impresa di autoriparazione abilitata ai sensi della legge 5 febbraio n. 122, che ha eseguito le riparazioni”.

La cessione del credito non è un’operazione di finanziamento ma un mero mezzo di pagamento

E ancora, in giudici del Palazzaccio riaffermano inoltre che “la cessione del credito da risarcimento del danno derivante da sinistro stradale costituisce (non già un’operazione di finanziamento bensì) il mero mezzo di pagamento da parte del cedente della prestazione professionale di carrozziere.

E, sottolinea la Suprema Corte venendo al dunque,all’applicazione di tale principio non osta il fatto che nel caso di specie vi è stata interposizione di un soggetto terzo tra il soggetto danneggiato e le imprese di riparazione, il consorzio per l’appunto, costituito da dieci officine artigiane di autoriparazione con scopi fondamentalmente mutualistico e senza fini di lucro, come dall’art. 3 del relativo statuto

Nello specifico, osserva la Suprema Corte, il danneggiato ha ricevuto la riparazione della vettura quale prestazione in cambio della quale ha ceduto il proprio credito. L’unica particolarità del caso di specie, notano gli Ermellini, è appunto che il cessionario è un soggetto terzo, “che tuttavia ha agito nell’interesse delle imprese consorziate, secondo la logica propria del consorzio. Senonché, in considerazione della funzione essenzialmente rappresentativa ed organizzativa svolta dal consorzio, nel caso di specie ricorre una situazione del tutto analoga a quella della ordinaria cessione del credito direttamente in favore dell’impresa di riparazione”.

Anzi, nello specifico, fanno rilevare i giudici del Palazzaccio, “il principio trova applicazione a maggior ragione”. Infatti, prosegue la Cassazione, bisogna considerare che il citato articolo 6 del Tub si riferisce “all’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di cessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. Trattandosi di norma che stabilisce limiti e vincoli, prevedendo l’autorizzazione e l’iscrizione, essa va interpretata in senso restrittivo, ragion per cui trova applicazione soltanto in presenza della concreta erogazione di prestiti e aiuti economici, contraddistinti dalla corresponsione di interessi e di mora a carico del finanziato e in favore del finanziatore”.

Elementi che “in alcun modo ricorrono nel caso di specie” asseriscono con forza gli Ermellini, dal momento che “il Consorzio non eroga alcuna provvidenza economica dietro la pattuizione di interessi, ma si impegna soltanto ed esclusivamente a gestire nell’interesse delle carrozzerie consorziate le eventuali controversie di risarcimento, ottenendo quale quid pluris il vantaggio di poter recuperare l’intera posta risarcitoria comprensiva di voci ulteriori rispetto al semplice costo della riparazione del veicolo, e dal momento che l’anticipazione finanziaria viene fatta dal Consorzio in favore della sola impresa consorziata, che da esso riceve il corrispettivo per la prestazione di riparazione e ad esso rimette il compito di provvedere al recupero del credito risarcitorio ceduto, e non nei confronti del pubblico, come richiesto dall’art. 106 Tub, erroneamente evocato nella sentenza impugnata”.

Il ricorso è stato quindi accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio al Tribunale di Brindisi in diversa composizione per un nuovo esame sulla base del principio di diritto affermato nella circostanza dalla Suprema Corte: “Il credito da risarcimento del danno da sinistro stradale è suscettibile di cessione ai sensi degli artt. 1260 ss. c.c., e il cessionario può, in base a tale titolo, domandarne anche giudizialmente il pagamento al debitore ceduto, pur se assicuratore per la r.c.a.. costituendo la cessione non già un’operazione di finanziamento bensì il mezzo di pagamento da parte del cedente della prestazione professionale di carrozziere, anche quando il cessionario assume vesti consortili”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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