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Non basta accertare una violazione a carico del conducente di un veicolo per ritenerlo automaticamente responsabile o corresponsabile di un sinistro: bisogna anche verificare il profilo della causalità della colpa, cioè la effettiva incidenza del comportamento colposo nella verificazione dell’evento.

E’ una sentenza da tenere ben presente in tema di responsabilità sui sinistri stradali quella, la n. 16835/21, depositata dalla Cassazione il 4 maggio 2021.

 

Camionista condannato per lesioni stradali gravi in seguito a un incidente

La vicenda. Con sentenza del settembre 2020 il Giudice di pace di Prato aveva dichiarato un camionista responsabile del reato di lesioni personali stradali gravi e, concesse le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di 1.600 euro di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali, applicandogli anche la pesante sanzione amministrativa accessoria, considerato il lavoro svolto, della sospensione della patente di guida per un anno.

Il conducente del mezzo pesante ha proposto ricorso per Cassazione lamentando il fatto che nella sentenza il giudice di pace aveva accertato che a innescare la rocambolesca carambola, con ben ben quattro veicoli coinvolti, in realtà era stato l’altro imputato del procedimento, un automobilista, il quale, alla guida di una Fiat Punto, dopo che era si incanalato nella corsia di destra, aveva improvvisamente sterzato per spostarsi su quella di sinistra, non tenendo evidentemente conto della posizione, distanza, direzione e velocità dell’autoarticolato che si trovava già sulla corsia di sinistra.

In seguito al contatto tra i due mezzi, la vettura aveva effettuato una rotazione di 360 gradi verso sinistra, finendo in testacoda e terminando la sua corsa nella semi-carreggiata destinata al senso opposto di marcia, dove era avvenuta la violenta collisione con il motociclo condotto dalla persona offesa.

 

Contestata l’incidenza sull’evento ascritta al suo lieve superamento dei limiti di velocità

L’autotrasportatore era stato condannato in virtù del fatto che procedeva a una velocità di 10 Km/h superiore rispetto al limite consentito in quel tratto di strada, ma a suo dire una perizia cinematica, che egli aveva chiesto ma che il giudice non aveva ammesso, avrebbe potuto rivelarsi decisiva ai fini della sussistenza o meno del nesso di causalità tra la violazione amministrativa che egli aveva commesso e l’evento lesivo. Il camionista, soprattutto alla luce della manovra repentina e gravemente imprudente del conducente della Punto, sosteneva che questi avrebbe comunque travolto il motociclo anche laddove egli avesse osservato i limiti di velocità, e che pertanto la condotta dell’automobilista rivestiva natura di efficacia causale esclusiva rispetto all’incidente.

Infine, il ricorrente, in subordine, contestava anche l’entità della sanzione accessoria applicata della sospensione della patente di guida ai sensi dell’art.222 c.d.s., che il giudice aveva stabilito, “in modo contraddittorio e illogico”, in egual misura, nella durata di un anno, sia nei suoi confronti, per aver superato di soli 10 km/h il limite di velocità consentito, sia per l’automobilista che aveva posto in essere una manovra ben più imprudente, non tenendo dunque in alcun conto della minore gravità del suo comportamento.

Per la Cassazione il ricorso è fondato. La Suprema Corte ricorda che, in materia di incidenti da circolazione stradale, “l’accertata sussistenza di una condotta antigiuridica di uno degli utenti della strada con violazione di specifiche norme di legge o di precetti generali di comune prudenza non può di per sé far presumere l’esistenza del nesso causale tra il suo comportamento e l’evento dannoso, che occorre sempre provare e che si deve escludere quando sia dimostrato che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato senza quella condotta o è stato, comunque, determinato esclusivamente da una causa diversa”.

 

Il profilo della causalità della colpa

Fatta questa fondamentale precisazione gli Ermellini entrano nel caso di specie, rilevando come il giudice di pace non abbia precisato “perché la condotta del camionista, benché questi viaggiasse ad una velocità di poco superiore a quella consentita, sia stata tale da comportare a carico dell’imputato un addebito di colpa concorrente con quella dell’altro imputato che, alla guida della sua Fiat Punto, pacificamente, pose in essere un improvviso e repentino cambio di corsia”.

E soprattutto, aggiungono i giudici del Palazzazzio, risulta del tutto trascurato, nella sentenza impugnata, “il profilo della causalità della colpa, cioè l’incidenza del comportamento colposo (una volta precisamente accertato) sulla verificazione dell’evento”.

Ed è qui che la Cassazione rammenta che, “in tema di delitti colposi, per stabilire la sussistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto attivo e l’evento, occorre verificare la sussistenza non solo della causalità della condotta (ossia della dipendenza dell’evento dalla condotta in cui quest’ultima si ponga quale conditio sine qua non, in assenza di decorsi causali alternativi eccezionali, indipendenti e imprevedibili), ma altresì la sussistenza della causalità della colpa, intesa come introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio poi concretizzatosi con l’evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio”.

 

Mancava la motivazione sul perché la condotta dell’imputato sarebbe stata determinante

Nello specifico, sulla base delle acquisizioni probatorie emergenti nella sentenza impugnata, ammesso anche che fossero rilevabili profili deponenti per la causalità della condotta (qualificando perciò il comportamento alla guida da parte del ricorrente come condotta che aveva costituito materialmente una condicio sine qua non dell’accaduto), “sicuramente manca la coerente ed adeguata motivazione che sorregga l’assunto secondo cui detto comportamento risultò determinante sul piano della causalità della colpa” prosegue la Suprema Corte.

Secondo la Cassazione, che accoglie in pieno l’osservazione del ricorrente, il giudice di Pace non ha considerato che la violazione da parte dell’impatto della norma concernente il limite di velocità non risultava, con dovuta certezza, da porsi in rapporto di causalità con l’incidente, “posto che – concludono gli Ermellini – non appare affatto certo, alla stregua della frettolosa motivazione, che se egli avesse mantenuto una velocità nel rispetto del limite previsto, l’urto, con alta probabilità logica, non si sarebbe ugualmente verificato in conseguenza dello sbandamento e dell’invasione della corsia di sinistra da parte dell’automobilista”.

Ergo, in ragione di questa motivazione contraddittoria e carente resa dal giudice di merito, anche per l’assenza di una “opportuna” perizia cinematica, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio al giudice di Pace di Prato, in persona di altro magistrato, per un nuovo giudizio.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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