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Come si calcola il danno iatrogeno differenziale non patrimoniale in caso di invalidità permanente che si verifichi per malpractice medica su di un soggetto già affetto da una precedente menomazione? Di questa questione, apparentemente molto tecnica ma che nella realtà dei fatti si presenta spesso, si è occupata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 18442/23 depositata il 28 giugno 2023.

 

Una donna cita in causa l’ospedale per l’asportazione dell’unica tuba rimastale

La vicenda riguarda una donna la quale, a seguito di complicanze derivate da un esame diagnostico, aveva subito l’asportazione dell’unica tuba rimastale, quella sinistra, (l’altra le era stata asportata in conseguenza di un altro intervento chirurgico), perdendo quindi del tutto la funzione riproduttiva.

La paziente e il marito avevano citato in causa l’ospedale e il Tribunale di Palermo, con sentenza del 2015, accogliendo parzialmente la loro domanda di risarcimento dei danni patiti, ritenuti responsabili i sanitari che avevano sottoposto la paziente ad un’isterosalpingografia (Isg), aveva liquidato la somma complessiva di 109mila euro in favore della donna e di 50mila euro per il coniuge.

Accertata la responsabilità dei medici nell’effettuare un esame diagnostico invasivo

Più in particolare, il giudice di primo grado aveva osservato, in esito alla consulenza tecnica d’ufficio disposta ed espletata, che i sanitari non avevano acquisito il consenso informato della paziente prima di sottoporla all’esame, di natura invasiva, e che avevano proceduto senza attendere l’esito del tampone vaginale che aveva poi consentito di rilevare la presenza di ceppi di Escherichia Coli, il che avrebbe dovuto sconsigliare l’effettuazione dell’Isg.

Una volta accertata la responsabilità dei sanitari che avevano eseguito l’esame diagnostico ed applicando una maggiorazione al grado di invalidità accertata dal Ctu (pari al dieci per cento) in via equitativa, il giudice di prime cure aveva quantificato il danno sofferto nella misura del 22 per cento, incrementando poi la somma liquidata a titolo di danno biologico del 10 per cento e giungendo così ad accordare la somma, come detto, di 109mila euro in favore della donna e calcolando in via equitativa la somma di 50mila euro in favore del coniuge.

La somma accordata era stata tuttavia a successivamente ridotta dai giudici di appello, sul presupposto che la donna possedeva metà della funzionalità riproduttiva.

 

Vanno prima convertite in somme in denaro le percentuali delle invalidità pregressa e finale

La danneggiata ha quindi proposto ricorso per Cassazione che le ha dato ragione, affermando il principio secondo il quale, in tema di liquidazione del danno alla salute, in caso di invalidità permanente che si verifichi su di un soggetto già affetto da precedente menomazione, l’apprezzamento delle menomazioni “concorrenti” in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall’illecito (ossia il calcolo del danno differenziale non patrimoniale) va compiuto “stimando, prima, in punti percentuali l’invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall’illecito, e poi quella preesistente all’illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro e procedendo infine a sottrarre dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l’esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto”.

Operare il calcolo del risarcimento solo sulla differenza dei punti percentuali dell’invalidità, senza prima convertirli in somme di denaro, come avevano fatto i giudici d’appello, infatti, secondo la Suprema Corte, comporta una sottostima del danno da risarcire, in violazione dell’art. 1223 c.c.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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