Sta facendo discutere la sentenza di inizio dicembre 2018 con cui la Cassazione ha messo la parola fine ad un lungo contenzioso per una caduta su una delle innumerevoli e famigerate buche di Roma.
Passeggiare lungo le vie del centro della città eterna, infatti, è una gioia per gli occhi ma anche un rischio per la salute. Perché le precarie condizioni delle strade e dei marciapiedi possono facilmente far perdere l’equilibrio, e per finire a terra basta un attimo di disattenzione. Ma oltre al danno ci può essere anche la beffa – economica -, quella cioè di vedersi respinta dai giudici la richiesta di risarcimento avanzata al Comune. E decisiva nel contenzioso con il Campidoglio può essere anche l’illuminazione fornita dalle vetrine dei negozi, illuminazione sufficiente, secondo i giudici, a rendere visibile la buca fatale e a trasformare in “colpevole” la malcapitata vittima del capitombolo.
A fissare questo clamoroso principio sono stati appunto i magistrati della Cassazione, che hanno chiuso un annoso contenzioso tra l’Amministrazione comunale di Roma e una signora, negando a quest’ultima il diritto al risarcimento per la caduta subita in una piazza del centro dell’Urbe.
L’origine della vicenda giudiziaria risale addirittura all’8 febbraio del 2006, quando una donna finisce rovinosamente a terra mentre sta percorrendo a piedi il centro della Capitale. Il capitombolo le provoca “lesioni permanenti nella misura dell’ 11-12%; invalidità temporanea assoluta protrattasi per 15 giorni; invalidità temporanea parziale al 75% per 40 giorni, al 50% per 60 giorni e al 25% per 30 giorni”.
Secondo la donna, la caduta è addebitabile chiaramente alla responsabilità del Comune, “perché provocata dal manto stradale, dall’avvallamento del suolo – fatto di sampietrini – e dalla scarsa illuminazione”. Logica la consequenziale richiesta di ottenere dal Campidoglio “il risarcimento del danno morale ed esistenziale e dei danni patrimoniali”.
La lettura data dai giudici all’episodio è però opposta a quella della donna. Così, innanzitutto, il Tribunale di Roma esclude nel 2010 ogni responsabilità del Comune, asserendo che la caduta si è verificata “per il comportamento distratto e incauto della signora”.
Identica anche la valutazione che compie la Corte d’Appello di Roma. In particolare, i giudici di secondo grado osservano che “la buca di cui aveva parlato la donna era un avvallamento della pavimentazione” e che essa “era visibile grazie all’illuminazione proveniente dalle vetrine dei negozi”. Ed evidenziano altresì che “la donna poco prima della caduta aveva già attraversato la piazza, teatro dell’incidente” e che quindi “avrebbe potuto e dovuto, con l’uso di maggiore diligenza, avvedersi dell’irregolarità della pavimentazione”, fatta dei sampietrini tipici di Roma.
Questa valutazione è ritenuta corretta e fatta propria anche dai giudici della Cassazione, che, di conseguenza, rendono definitivo il «no» all’ipotesi che il Campidoglio debba sobbarcarsi il risarcimento. Inutile il ricorso proposto dal legale della donna e finalizzato a dimostrare la responsabilità del Comune per le precarie condizioni della pavimentazione della piazza. Irrilevante anche il richiamo allo “stato malfermo dei sampietrini”, presentati ai giudici come “basculanti”. Su quest’ultimo dettaglio, in particolare, gli Ermellini osservano che in Appello sono stati presi in esame “il tipo di pavimentazione della piazza e la sua irregolarità”, stabilendo però che tali elementi “non erano tali da indurre a ritenere esistente una situazione di pericolo occulto”. Ciò perché “la buca era un avvallamento della pavimentazione, come riscontrato tramite i rilievi fotografici; la piazza era illuminata attraverso le vetrine dei negozi; la vittima aveva già effettuato l’attraversamento della piazza e quindi era consapevole che la pavimentazione era fatta con i sampietrini”. Un pronunciamento che ha aperto un animato dibattito.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
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