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Anche il committente può essere chiamato a rispondere, penalmente e civilmente, di un infortunio sul lavoro, tanto più se interviene e ingerisce direttamente nell’attività dell’impresa appaltatrice e fornisce anche la propria attrezzatura all’origine del fatto.

Lo ha ribadito la Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 28961/23 depositata il 10 ottobre 2023 su un grave incidente frutto, soprattutto, di violazioni altrettanto gravi.

Impresa datrice di lavoro, subappaltatrice e committente condannate a risarcire due portuali

Il Tribunale civile di Livorno aveva condannato in solido la datrice di lavoro e appaltatrice, il presidente del Cda dell’impresa subappaltatrice e stivatore e, appunto, la società committente al risarcimento dei gravi danni patiti da due lavoratori a causa di un infortunio occorso nel porto cittadino. Sentenza confermata dalla Corte d’Appello di Firenze che aveva rigettato l’appello interposto dalla committente.

I due operai cadono da una cesta movimentando dei container per gravi violazioni

I due operai erano addetti all’attività di sbarco di container trasportati da una nave ormeggiata alla banchina del canale industriale del porto. La loro titolare operava direttamente con personale proprio, che manovrava le gru per movimentare i container, mentre aveva subappaltato ad altra società i lavori di derizzaggio dei container a terra e a bordo della nave.

Il capo turno della ditta appaltatrice aveva chiesto ai due lavoratori di svolgere in quota, anziché a terra, il compito di sganciare i sistemi di ancoraggio di cui i container erano forniti (per essere tenuti allineati con gli altri durante le operazioni di trasporto in mare). E per salire i due lavoratori avrebbero dovuto usare la cella porta persone agganciata alla gru tramite il bilancino, attrezzi tutti di proprietà della datrice. Inizialmente si erano dichiarati contrari all’uso della cesta, a causa della pioggia che ne rendeva il pavimento scivoloso e della dotazione di una sola cintura di sicurezza.

Per convincerli, il capoturno dell’impresa appaltatrice aveva fatto intervenire lo stivatore , che aveva eseguito insieme a loro i primi due viaggi con il cestello porta persona, mentre il terzo era stato eseguito solo dai due dipendenti.  La procedura di sicurezza per scongiurare il rischio di caduta della cella nelle operazioni di sollevamento prevedeva due sistemi di blocco al bilancino della gru: uno di tipo elettrico che comandava il blocco automatico della cella allo spreader (l’attrezzatura posta al termine del braccio della gru per agganciare i contenitori); uno di tipo meccanico interno alla cella che ne realizzava il blocco allo spreader con quattro attacchi supplementari, muniti di “schiavi” o “golfari” in ferro da fissare ai fori dello spreader tramite un perno a vite anch’esso in ferro. Il sistema manuale aveva la funzione di assicurare ulteriormente la cella in caso di cattivo funzionamento del sistema elettrico.

In nessuno dei tre viaggi in quota tuttavia la cella era stata assicurata manualmente allo spreader. Quindi la sicurezza della manovra era rimessa esclusivamente al sistema elettrico. Purtroppo, nel corso del terzo viaggio in quota, una volta che i due lavoratori erano arrivati all’altezza dei container su cui operare, i twist-lock dello spreader comandati elettricamente si erano sganciati e la cella (non trattenuta dal sistema manuale non utilizzato) era precipitata da un’altezza di 6 metri, cadendo sopra il portellone di coperta della nave. Entrambi i lavoratori avevano subito lesioni gravi a causa del violento urto dovuto alla loro caduta all’interno della cella.

 

Condannati in sede penale capoturno della ditta appaltatrice e stivatore

In sede penale capoturno e stivatore erano stati condannati per il reato di lesioni colpose in danno dei due lavoratori, mentre era stato assolto, ai sensi dell’art. 530 c.p.c., comma 2, il gruista. Le due sentenze penali del Tribunale di Livorno avevano accertavano che lo sgancio del twist-lock dello spreader era stato provocato da un problema all’impianto elettrico (un difetto di isolamento di un cavo di alimentazione dello spreader, dovuto alla forte umidità, aveva alterato il funzionamento del sistema comportando un passaggio di corrente fra circuiti). Ma se fosse stata rispettata la procedura di sicurezza manuale, l’infortunio non si sarebbe verificato.

Nella causa civile per il risarcimento esclusa ogni responsabilità delle vittime

La Corte d’Appello aveva altresì escluso qualsiasi concorso di colpa dei lavoratori infortunati, sul rilievo che la mancata adozione della procedura di sicurezza manuale costituisse una prassi osservata da tempo dalle due società e, nella specie, oggetto di una precisa direttiva del superiore gerarchico.

I giudici di secondo grado avevano altresì rilevato come sulla responsabilità della datrice non potesse in alcun modo incidere l’assoluzione, in sede penale, del suo dipendente gruista, data la condotta della società di costante e abituale violazione delle norme di sicurezza. Questa resa ancora più grave in ragione dell’analogo incidente che si era verificato pochi giorni prima dell’infortunio in oggetto.

E riaffermata, oltre alla responsabilità della datrice di lavoro, quella della committente

Secondo i giudici di appello, del resto, sussisteva la responsabilità anche da parte della società committente, perché si era ingerita ed era coinvolta a vario livello, specie quale proprietaria dei macchinari utilizzati, e per omessa adozione del sistema manuale di sicurezza della cella porta persone e dal malfunzionamento del sistema elettrico di sicurezza, privo della necessaria manutenzione. Ergo, la gravità della violazione degli obblighi di sicurezza giustificava, secondo la Corte di merito, l’attribuzione alla stessa, nella ripartizione interna, di una responsabilità pari al quaranta per cento.

Nella quantificazione del danno biologico, la Corte territoriale aveva fatto propria la valutazione compiuta dal consulente tecnico d’ufficio medico legale, che aveva tenuto conto dei pregressi infortuni subiti dai lavoratori. Aveva dunque confermato la personalizzazione del danno non patrimoniale operata dal tribunale nella misura del 20 per cento in ragione delle conseguenze, in termini di maggior fatica, nello svolgimento dell’attività lavorativa nel periodo successivo alla guarigione dopo l’infortunio.

La committente tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione ribadendo la propria completa estraneità ai fatti e invocando il giudicato di cui alla sentenza penale del tribunale di Livorno, che avrebbe confermato la corresponsabilità della datrice e degli stessi lavoratori nell’infortunio e la propria completa estraneità ai fatti di causa.

 

La committente ingeriva nel lavoro appaltato e aveva fornito macchinari non manutenuti

Ma la doglianza è stata considerata del tutto infondata dai Giudici del Palazzaccio. Essi hanno sottolineato come i profili di corresponsabilità della datrice rispetto all’infortunio sul lavoro dei due dipendenti non risiedessero nella condotta tenuta dal gruista il giorno del fatto, bensì in circostanze molto più significative che riguardavano prassi consolidate nel tempo di “utilizzo della cella porta persone in costante violazione delle norme di sicurezza”. E hanno soprattutto rimarcato la fattiva collaborazione, e ingerenza, della committente nel lavoro appaltato che veniva svolto usando macchinari forniti dalla stessa e non sottoposti alla doverosa manutenzione.

Quanto poi alla seconda censura sulla sentenza d’appello per avere disatteso l’accertamento vincolante che si assumeva eseguito dal giudice penale in ordine al concorso di colpa dei lavoratori infortunati, e costituiti parte civile, la Suprema Corte ricorda che “l’obbligo del giudice penale di determinare percentualmente l’efficienza causale delle singole condotte colpose sussiste solo allorché vi sia stato un concorso di colpa tra coimputati; laddove, invece, sia ravvisabile un concorso di colpa del danneggiato, spetta al giudice civile determinare l’incidenza causale dell’imprudenza di quest’ultimo”.

Dunque, l’eventuale concorso di colpa di soggetti diversi dall’imputato rileva ai fini dell’art. 1227 c.c., al fine di stabilire le quote risarcitorie a carico di ciascuno, ma di per sé non è in conflitto con l’accertamento di sufficienza causale e di responsabilità in sede penale. Conseguentemente, il giudicato di condanna generica del debitore (come nel caso in esame) non preclude, nel successivo giudizio di liquidazione, l’eccezione di concorso di colpa del creditore e il relativo accertamento e, parimenti, non preclude l’esclusione, nel giudizio civile di danno, del concorso di colpa incidentalmente affermato dal giudice penale.

 

Il dovere di sicurezza grava anche sul committente

Infine, gli Ermellini evidenziano che sul tema della responsabilità del committente in caso di infortunio occorso ai dipendenti dell’appaltatore, la Corte di Appello si è attenuta ai principi secondo cui “in tema di infortuni sul lavoro, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 494 del 1996, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, di modo che, ai fini della configurazione della sua responsabilità, occorre verificare in concreto l’incidenza della relativa condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori”.

Una condotta che, come si è visto, è stata determinante nella “eziologia” dell’incidente.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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