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Sulla sicurezza sul lavoro non si transige: l’azienda che ha violato le norme antinfortunistiche causando un infortunio ne risponde anche se dall’omissione non ha ottenuto alcun risparmio. E’ un principio importante quello affermato dalla Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 39129/23 depositata il 26 settembre 2023.

 

Società condannata per un grave infortunio occorso a un dipendente

La Corte d’Appello di Ancona, con decisione del 2022, aveva confermato la sentenza dell’anno precedente del Tribunale di Macerata che aveva condannato una srl ritenendola responsabile dell’illecito amministrativo di cui al D. Lgs. n. 231 del 2001, articolo 25-septies, mediante il quale si sanzionano le “persone giuridiche” (qual è un’azienda) in caso di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell‘igiene e della salute sul lavoro.

La condanna era stata pronunciata in relazione alla commissione del delitto, appunto, di cui all’art. 590 c.p., avendo il legale rappresentate della società, come datore di lavoro, committente dei lavori e titolare del cantiere, omesso di dotare la porta scorrevole presente all’ingresso del luogo di lavoro di un sistema di sicurezza per impedire la fuoriuscita del cancello dalle guide o comunque di cadere: in questo modo, per colpa consistita in imperizia, negligenza, imprudenza, nonché inosservanza delle norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro, erano state cagionate lesioni personali gravi a un dipendente, rimasto in parte schiacciato dal cancello che era caduto a terra, investendolo, fatto accaduto a Pollenza, frazione di Casette Verdini, nel giugno del 2012.

 

L’azienda ricorre in Cassazione sostenendo di aver tratto un vantaggio irrisorio dalla violazione

La società, in persona del proprio legale rappresentante, ha tuttavia proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza, chiedendone l’annullamento ed articolando un unico motivo, con il quale non disconosceva il fatto ma imputava alla Corte territoriale di aver erroneamente ritenuto sussistente il requisito dell’interesse o del vantaggio dell’ente alla commissione dell’illecito, senza tuttavia considerare che l’azienda, in concreto, non si sarebbe giovata di alcun risparmio di spesa né di alcun incremento economico, dato che il costo per riparare il cancello sarebbe consistito in poche decine di euro.

Ma la Suprema Corte rigetta le doglianze e spiega

Ma per la Suprema Corte il ricorso è inammissibile. Gli Ermellini premettono e ricordano che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, “i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nel D. Lgs. n. 231 del 2001, articolo 5, all’“interesse” o al “vantaggio”, sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito, da valutare entrambi avendo come termine di riferimento la condotta e non l’evento”.

La Cassazione aggiunge anche, sempre in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, che “i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse o dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso”.

E ribadisce ancora che “i criteri di imputazione riferiti all’interesse e al vantaggio sono giuridicamente distinti giacché, mentre il primo è criterio soggettivo, da valutare ex ante, e consistente nella proiezione finalistica volta a far conseguire all’ente un profitto indipendentemente dall’effettiva realizzazione dello stesso, il secondo è criterio oggettivo, accertabile ex post e consistente nel concreto vantaggio derivato all’ente dal reato”.

 

La responsabilità dell’Ente non si può escludere anche se il vantaggio o l’interesse sono esigui

Ma, soprattutto, i giudici del Palazzaccio evidenziamo che “la responsabilità amministrativa dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica”. E precisano ulteriormente che in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, “il criterio di imputazione oggettiva dell’interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta ad un’iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente”.

Venendo dunque al caso di specie, gli Ermellini affermano che la Corte territoriale, nella sentenza impugnata, ha fatto buon governo di questi principi di diritto, “ha ritenuto sussistente il criterio di imputazione oggettiva rappresentato dall’interesse, evidenziando che l’autore del reato aveva consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente” rimarcando anche come il realtà il risparmio di spesa “avuto di mira, pur modesto, non era certo irrisorio”.

In particolare, sottolinea la Cassazione, “i giudici di appello hanno valorizzato il collegamento esistente tra il risparmio di spesa ed il mancato rispetto delle regole cautelari, rimarcando che la violazione delle norme antinfortunistiche aveva riguardato una delle porte di accesso al cantiere e sottolineando la mancanza di segnaletica informativa e l’omissione di interventi di manutenzione, necessari da tempo ed omessi per non incidere sui tempi della attività”. Rigetto quindi del ricorso e condanna della società confermata.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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