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Non è responsabile in caso di incidenti il proprietario della strada per la presenza di alberi a meno di sei metri dal confine stradale se essi risultavano impiantati prima del primo gennaio 1993, data di entrata in vigore della nuova regola sulle distanze. Anche se permane comunque a suo carico l’onere di metterli in sicurezza. E’ quanto conclude la sentenza n. 24351/23 depositata dalla Corte di Cassazione il 4 agosto 2023.


Automobilista finito contro un albero condannato per omicidio stradale

Un automobilista era stato condannato per omicidio stradale per aver causato con una rovinosa uscita di strada la morte del passeggero che trasportava nel veicolo. L’imputato, il 19 ottobre 2019, dopo le 11 di sera, percorrendo alla guida di una Opel Corsa una Statale, dopo una curva a sinistra in salita, aveva perso il controllo del mezzo, era uscito di strada, era finito contro una scarpata e, infine, contro un albero.

A causa del violento impatto entrambi gli occupanti la vettura avevano riportato gravi ferite ed erano stati condotti in ospedale, dove il conducente era anche risultato essere positivo all’alcol test, con un tasso superiore a un grammo per litro, e dove il passeggero, cinque giorni dopo, era purtroppo deceduto.

Confermando la decisione di primo grado, la Corte d’appello di Perugia aveva quindi ritenuto l’imputato responsabile di omicidio stradale, per avere condotto il veicolo con grave imprudenza, peraltro in stato di ebrezza, non regolandone la velocità, risultata in concreto inadeguata rispetto allo stato dei luoghi, e non mantenendone il controllo e gli aveva inflitto la pena di giustizia.

L’imputato sostiene la corresponsabilità dell’Ente gestore per l’esigua distanza della pianta

L’imputato tuttavia ha proposto ricorso per Cassazione adducendo, come peraltro già fatto in appello, una corresponsabilità, ai fini di una diminuzione di pena, da parte dell’Ente gestore della strada. Alla base ci sarebbe la risicata distanza dell’albero contro cui aveva impattato la sua auto rispetto alla sede stradale alla fine della folle carambola, misurata in 3,15 metri, in violazione a quanto prescritto dal Codice della Strada del 1993 che impone una distanza di sei metri.

A suo dire, se la pianta non fosse stata presente o si fosse trovata a una maggiore distanza, non vi sarebbe stata la collisione dell’auto contro la stessa e la vittima non avrebbe subito lesioni letali.

E ne contesta anche la mancata messa in sicurezza con guardrail o barriere

Il ricorrente in secondo luogo, prendendo atto della mancanza di un generale obbligo di rimozione degli alberi già presenti, al momento dell’entrata in vigore del nuovo codice della strada del 1993, ad una distanza inferiore a sei metri rispetto alla sede stradale, asseriva tuttavia che sussisteva comunque il generale obbligo,  a carico del proprietario e gestore della strada, di garantire sempre la sicurezza stradale come previsto dallo stesso Cds.

Le alberature troppo vicine al margine stradale, infatti, andrebbero protette con guardrail o barriere di sicurezza, come previsto dagli artt. 2 e 3 dell’allegato 1 del decreto del Ministro dei lavori pubblici del 18 febbraio 1993. Questa omessa protezione da parte dell’Ente gestore rispetto al pericolo rappresentato dall’albero avrebbe dovuto, sempre secondo la tesi difensiva, far scattare l’applicazione dell’attenuante di cui al comma 7 dell’art. 589 bis del Cds, sull’omicidio stradale.

Infine, il ricorrente rammentava che nel corso del giudizio era stata disposta una perizia ad hoc per ricostruire la dinamica dell’incidente e il consulente tecnico non aveva saputo datare esattamente l’albero, affermando solo che dagli accertamenti svolti nel 2011, sette anni prima del sinistro, sarebbe stato di piccole dimensioni, il che avrebbe fatto supporre una sua piantumazione dopo il “fatidico” 1993.

E chiudeva censurando le conclusioni dei giudici di seconde cure che avevano comunque individuato quale unica causa del sinistro la “straordinaria forza cinetica dell’auto senza controllo”, attribuendo alla presenza dell’albero alla sommità della scarpata un ruolo “indifferente” ai fini dell’eziologia dell’evento, ricordando infine – quanto alla contestazione mossagli sulla velocità tenuta, stimata in 85-90 chilometri all’ora, entro il limite di 90 ma ritenuta eccessiva rispetto alle caratteristiche concrete della strada – che queste peculiarità avrebbero imposto all’ente proprietario dell’arteria di porre anche un limite più basso in quel tratto, di 70 km/h.


La Suprema Corte rigetta le doglianze

Ma la Suprema Corte ha rigettato le doglianze, concordando con le conclusioni e le motivazioni dei giudici di merito. Questi, spiega il Palazzaccio, avevano ritenuto che l’albero, in ragione della specie e dello stato di accrescimento, verificato da un perito, fosse lì da prima dell’entrata in vigore della previsione in questione che impone le nuove piantumazioni ai margini delle strade ad almeno sei metri di distanza, cioè da prima del primo gennaio 1993.

E qui gli Ermellini riaffermano l’interpretazione della norma chiarendo come, “secondo puntualizzazione di pertinente giurisprudenza di legittimità, è da escludere la retroattività della previsione del nuovo codice della strada, cioè è da escludere la sussistenza di un obbligo di rimozione degli alberi già presenti” prima del 1993 a meno di sei metri”.

La norma non impone la rimozione delle alberature troppo vicine al margine piantate ante 1993

E citano un precedente della stessa Suprema Corte, quarta sezione, sentenza n. n. 10850/2019, nella qualche si asseriva che, “in tema di omicidio colposo, ove in un sinistro stradale si verifichi il decesso del conducente di un veicolo in conseguenza dell’impatto con un albero posto a meno di sei metri dal confine stradale, la responsabilità penale del proprietario è configurabile solo se tale albero è stato piantato dopo l’entrata in vigore degli artt. 16 cod. strada e 26 regolamento di esecuzione e di attuazione del cod. strada, in quanto il divieto previsto da tali norme non comporta l’obbligo di rimozione delle piante già esistenti a tale data nella fascia di rispetto”.

Ma la Cassazione non ha potuto valutare l’omesso obbligo di messa in sicurezza della pianta

Rimane il rammarico che la Cassazione non sia potuta entrare, per ragioni “formali”, sull’ulteriore motivo di ricorso dell’imputato, quello relativo, cioè, all’omesso obbligo, comunque gravante sull’Ente gestore di un’arteria, di protezione dal pericolo costituito dalle alberature con l’installazione di guardrail o altro: una doglianza che la Suprema Corte non ha esaminato non essendo stata “dedotta previamente in appello”. 


Condanna per il ricorrente confermata, così come la revoca della patente

Infine, gli Ermellini hanno preso atto di come il perito, oltre a non aver saputo dire esattamente a quanto potesse risalire la pianta, si fosse espresso in modo critico circa il limite vigente in quel tratto di 90 km all’ora, ritenuto troppo elevato in relazione alle condizioni concrete della strada.

Tuttavia, conclude la Suprema Corte, “il ricorrente trascura la circostanza che nella sentenza impugnata si specifica chiaramente che la eccessiva velocità di guida dell’automobile rispetto alle concrete condizioni della strada è stata individuata come unica causa della fuoriuscita dalla sede stradale e che prima dell’impatto con l’albero il veicolo è andato ad urtare contro una scapata costituente, in sostanza, un muro di due metri, per poi salire su di un campo ove era l’albero. A proposito della cui datazione e posizione, la Corte di appello ha comunque fornito una giustificazione che risulta non illogica e non incongrua, che tiene conto della specie della pianta, dello stato di accrescimento della stessa e della sua insistenza su di un terreno montano ed assolutamente marginale, quanto a collocazione, rispetto alla strada”.

Dunque, condanna confermata, così come la revoca della patente in luogo della quale il ricorrente, con un ulteriore motivo di doglianza, invocava la mera sospensione, a fronte della guida in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico di 1,03 grammi litro che, ha concluso la Cassazione, “rientra pacificamente nell’ipotesi di cui alla lett. ì) del comma 2 dell’art. 186 del codice della strada”, senza contare la generale “gravità e la pericolosità della condotta dell’imputato”.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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