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L’eventuale imprudenza del pedone, a meno che essa non sia del tutto imprevedibile, non fa venir meno la responsabilità del conducente del veicolo in caso di investimento.

A ribadire questo principio, e con esso la massima tutela dovuta agli utenti deboli della strada, la Cassazione, con la sentenza n. 30052/22 depositata il 29 luglio 2022.

Automobilista condannato per lesioni colpose stradali gravi per aver investito un pedone

Con pronunciamento datato 2021 la Corte di Appello di Palermo, peraltro confermando la decisione dell’anno precedente del Tribunale di Agrigento, aveva condannato un automobilista, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di quattro mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, avendolo ritenuto responsabile del reato di lesioni personali stradali gravi per colpa consistita nella violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale (art. 141 co. 1 cod. strada). All’imputato si contestava di aver investito con la sua Fiat Panda, nel 2018, mentre percorreva il centro cittadino di Campobello di Licata, non prestando la dovuta attenzione, un pedone che stava attraversando la strada, causandogli lesioni particolarmente gravi quali ematoma epidurale frontale sinistro post traumatico con associate varie fratture tra cui quella dell’orbita sinistra, della mandibola e di un piede.

L’imputato ricorre per cassazione lamentando la condotta imprudente della vittima

L’imputato tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione, lamentando la violazione da parte dei giudici dei principi in tema di valutazione della prova e della manifesta illogicità della motivazione. Secondo il ricorrente, la sentenza di condanna a suo carico sarebbe stata frutto di un manifesto travisamento della prova con l’affermazione che la persona offesa non aveva posto in essere alcuna condotta in violazione delle norme cautelari. Al contrario, per l’automobilista la Corte territoriale avrebbe del tutto omesso di valutare che durante l’attraversamento il pedone, per sua stessa ammissione, stava parlando al cellulare e si trovava in una strada ad angolo, non tenendo in considerazione neppure le dichiarazioni di un testimone circa l’esatto punto d’impatto, che sarebbe avvenuto all’incrocio tra due vie dove non vi erano strisce pedonali.

 

Il pedone avrebbe attraversato mentre parlava al cellulare e fuori dalle strisce

Un’omissione, questa, che avrebbe viziato l’intera motivazione determinando gravi incongruità e contraddizioni. Insomma, i giudici territoriali, secondo la tesi difensiva, piuttosto che evidenziare le lesioni riporte dalla vittima, avrebbero dovuto verificare se l’incidente fosse stato determinato da una condotta imprudente e imprevedibile della parte lesa, come sarebbe effettivamente emerso dagli elementi poi travisati, e non avrebbero in alcun modo valutato la versione alternativa fornita dalla difesa, che invece avrebbe dovuto determinare l’assoluzione dell’imputato in applicazione del principio del “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Ancora, il ricorrente si doleva del fatto che la Corte territoriale non avesse fornito nel provvedimento impugnato alcuna valutazione sulla prevedibilità ed evitabilità dell’evento, evidenziando come la Corte territoriale avesse da un lato sottolineato  l’importanza del rispetto delle regole cautelari da parte di tutti gli utenti della strada, compresi i pedoni, ma poi non avesse di fatto esaminato la condotta della persona offesa, che sarebbe stata incurante delle regole cautelari come emerso dall’istruttoria dibattimentale. In conclusione, nessuna manovra di emergenza poteva esigersi dall’imputato alla luce della condotta colposa tenuta dalla vittima che aveva attraversato la strada in un tratto privo di strisce pedonali e conversando con il cellulare all’orecchio senza prestare la dovuta attenzione.

Confutata la circostanza che il danneggiato stesse usando il telefonino

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, i motivi proposti sono inammissibili in quanto il ricorrente, come capita di frequente, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già sollevate in appello e in quella sede già “puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata”, con una serie di doglianze mirate ad ottenere “una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in sede di legittimità”.

Gli Ermellini entrano tuttavia anche nel concreto chiarendo innanzitutto come la circostanza che il pedone stesse parlando al cellulare durante l’attraversamento fosse stata inizialmente frutto di un qui pro quo durante le dichiarazioni rese dal danneggiato, uno straniero, rispondendo alle domande del Pubblico Ministero. Nelle sue successive dichiarazioni, infatti, era stato meglio chiarito che egli stava effettivamente conversando con il telefonino qualche istante prima di attraversare la strada, ma come avesse poi chiuso appositamente la comunicazione proprio nel momento in cui si accingeva ad attraversare: pertanto, i giudici palermitani avevano concluso che la vittima non aveva violato l’art. 190 cod. strada per avere attraversato la strada senza la necessaria attenzione, essendosi anzi premurato il pedone di chiudere il telefono prima di attraversare la strada. “Il motivo di doglianza oggi riproposto tout court in questa sede di legittimità si basa, dunque, su una “intuitiva” allegazione della difesa destituita di ogni fondamento di prova e smentita pure dalle precisazioni rese in udienza dal teste persona offesa” spiega la Cassazione, escludendo qualsiasi vizio di travisamento della prova nella sentenza impugnata.

 

La strada ad angolo senza strisce pedonali doveva imporre più attenzione nell’automobilista

Inammissibile poi, secondo i giudici del Palazzaccio, anche la doglianza che aveva ad oggetto l’asserita omessa valutazione anche delle caratteristiche della strada luogo del fatto. Infatti, nel provvedimento impugnato, fanno notare gli Ermellini, “si evidenzia che il pedone si trovava non su strada caratterizzata da strisce pedonali e in corrispondenza di “un angolo”, senza una buona visuale del tratto di strada per il conducente”: una circostanza, quest’ultima, che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, “avrebbe dovuto determinare l’obbligo da parte dell’imputato di procedere a bassa velocità e i connessi obblighi ex art. 141 cod. strada come da contestazione, in modo da evitare l’impatto”.

L’incidente, come emerso dal dibattimento, era avvenuto in una piccola strada di paese, in un luogo di intersezione con altra strada in salita, e precisamente in un angolo in cui non vi erano, né il marciapiede, né le strisce pedonali. “Il pedone aveva dunque prestato la necessaria attenzione chiudendo il cellulare e assicurandosi che dalla sua sinistra non venissero automobili, ma ad un tratto proprio nel momento in cui stava per attraversare la strada è avvenuto l’impatto con l’auto dell’imputato che invece gli si è presentata a destra investendolo. Risulta pertanto evidente che quest’ultimo non ha prestato la dovuta attenzione e diligenza, essendo giunto in prossimità di una strada ad angolo e, dunque senza una buona visuale del tratto di strada immediatamente successivo, senza suonare ed, evidentemente, senza neppure procedere a bassa velocità, come la situazione dei luoghi avrebbe richiesto, atteso che sarebbero bastate queste due elementari regole di prudenza ad evitare il sinistro” proseguono gli Ermellini.

 

Il conducente avrebbe  dovuto limitare la velocità in un tratto così pericoloso e frenare prima

La responsabilità colposa dell’imputato, dunque – tira le fila del discorso la Cassazione – è stata correttamente fatta derivare dal fatto che questi avrebbe dovuto regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, avrebbe consentito di evitare ogni pericolo per la sicurezza della persona offesa che transitava sul giusto lato a margine della carreggiata ed è stata impattata dalla parte anteriore del veicolo. L’imputato non ha infatti conservato il controllo della propria auto né ha compiuto le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del mezzo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile soprattutto nell’approssimarsi di una curva”.

Secondo la Suprema Corte, i giudici territoriali avrebbero compiuto pertanto corretta applicazione dei principi in materia di apprezzamento del comportamento dei pedoni e della rilevanza causale di eventuali imprudenze degli stessi. Al riguardo, a Cassazione cita una propria pregressa sentenza, la n. 24837/2021, la quale, in conformità con la giurisprudenza consolidata, in un caso simile concludeva che “una siffatta ricostruzione dei fatti porta alla logica conclusione che non si sia di fronte al caso di un conducente del veicolo investitore che si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di “avvistare” il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile, potendo solo in tal caso, invero, l’incidente ricondursi eziologicamente proprio esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima

 

Principio d’affidamento temperato da quello della responsabilità per l’imprudenza altrui

Ma soprattutto, vanno a concludere i giudici del Palazzaccio, la sentenza impugnata opera anche un buon governo del costante orientamento della Corte di legittimità in punto di temperamento del principio di affidamento in tema di circolazione stradale, “laddove si è affermato che il principio di affidamento, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità circolazione stradale”.

Manifestamente infondate, infine, secondo la Cassazione, anche le doglianze espresse dall’imputato circa la quantificazione della pena ritenuta eccessiva, e che invece a parere della Suprema Corte è assolutamente congrua in rapporto sia alle “peculiarità del fatto (intensità della colpa ed entità dei gravissimi danni causati alla vittima) sia al precedente per omicidio colposo dello stesso imputato”, che avevano portato “giustamente” i giudici di appello a ritenere non proporzionato alla fattispecie il minimo della pena richiesto dalla difesa così come, in forza in particolare del precedente specifico, a escludere il beneficio della sospensione condizionale. Dunque, ricorso rigettato e condanna dell’automobilista confermata.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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