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Anche se è vietato camminare lungo un tratto autostradale, ciò non giustifica l’automobilista che, pur avendo potuto scorgere ed evitare il pedone, lo travolge causandone la morte.

E’ un richiamo forte alla massima tutela dell’utente debole della strada per eccellenza quello operato dalla Cassazione con la sentenza n. 16851/21 depositata il 4 maggio 2021, proprio perché su un caso “limite”.

 

Automobilista condannato per aver investito un pedone in autostrada

La vicenda. Il 12 febbraio 2015 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma aveva dichiarato un automobilista responsabile del reato di omicidio colposo (all’epoca non era stato ancora introdotto l’omicidio stradale) per aver investito e ucciso un pedone. L’imputato aveva già impugnato una prima volta con successo la decisione in Cassazione.

Il 13 dicembre 2019 la Corte di appello capitolina, pronunciandosi in sede di giudizio di rinvio a seguito della sentenza della Suprema Corte del 10 gennaio 2019, aveva quindi ridotto la pena inflitta all’imputato a cinque mesi e dieci giorni di reclusione, riducendo anche la sanzione amministrativa ex art. 222, comma 2, d.lgs n. 285/1992 ad analoga durata e revocando le statuizioni civili relative al responsabile civile, ma confermando nel resto la decisione del Gip.

Il nuovo ricorso per Cassazione dell’imputato che punta sulla condotta negligente della vittima

L’automobilista ha quindi (ri)proposto ricorso per Cassazione, invocando il principio dell’affidamento, sulla scorta delle circostanze del fatto e delle considerazioni dello stesso consulente tecnico del Pubblico Ministero: la vittima camminava all’interno della corsia di marcia di un viadotto autostradale dove. a norma dell’art. 75, comma 6 del Codice della Strada, è fatto divieto di camminare, in un tratto completamente privo di illuminazione, vestito di scuro e privo di giubbotto catarifrangente.

Secondo la Corte d’appello, invece, il principio dell’affidamento non aveva affetto in quanto la condotta negligente della vittima era prevedibile ed evitabile a detta dei giudici, che però non avrebbero spiegato in base a quali criteri fossero pervenuti a tali considerazioni.

 

Contestato anche il grado di “visibilità” dei fari

L’imputato ha contestato anche l’asserzione, uno dei punti fondamentali su cui si era basata la pronuncia di colpevolezza, che egli avrebbe potuto vedere la vittima grazie alla visibilità garantita dai fari anabbaglianti: il Ctu  aveva infatti valutato che questi potevano garantire al conducente un campo di visibilità di circa 70 metri, richiamando le norme tecniche contenute nel Regolamento europeo UN7ECE 48. Secondo il ricorrente, tuttavia, tali norme non erano riferite alla distanza di proiezione del fascio luminoso dei fari anabbaglianti, ma alla loro inclinazione verso il basso.

Non solo. L’automobilista ha censurato i giudici territoriali anche laddove avevano escluso che la vittima avesse effettuato un attraversamento repentino della corsia di marcia, sulla scorta, a suo dire, di una motivazione carente ed illogica, facendo riferimento solo alla presenza del guardrail e non considerando le risultanze della consulenza di parte che valorizzavano la posizione degli urti della sua autovettura.

Infine, ha contestato la condanna al risarcimento del danno in favore dei prossimi congiunti della vittima, in quanto non sarebbe emersa prova circa il suo rapporto con le costituite parti civili, così come in subordine la quantificazione  della provvisionale, reputata eccessiva.

La Suprema Corte rigetta tutte le doglianze

Per la Suprema Corte, tuttavia, i motivi di doglianza sono infondati, in particolare, quelli che più interessano, i primi tre  afferenti all’affermazione di responsabilità. La Corte d’Appello infatti, nel rispetto dei principi di diritto enunciati nella sentenza di annullamento, “ha colmato le lacune motivazionali rivalutando, nel senso auspicato dalla Corte di Cassazione, le precedenti acquisizioni istruttorie.

A seguito di una valutazione globale del quadro probatorio, i Giudici di appello hanno confermato l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, evidenziando come la accertata condotta gravemente imprudente del pedone (che procedeva su strada extraurbana e al di fuori della banchina, in orario notturno e con abiti scuri) non potesse ritenersi idonea ad interrompere il nesso causale tra la condotta colposa dell’imputato e l’evento morte della vittima, in quanto il suo comportamento imprudente doveva valutarsi come prevedibile ed evitabile da parte dell’imputato”.

 

Il comportamento imprudente del pedone era prevedibile, l’automobilista è stato negligente

A supporto della sua affermazione, la Cassazione evidenzia come la Corte d’Appello, rimarcando la condotta negligente dell’imputato – “che non aveva prestato la dovuta attenzione che l’orario notturno gli imponeva nell’ispezione costante della strada ove procedeva, così violando la regola fondamentale dell’obbligo di attenzione” -, abbia ben spiegato che “plurime circostanze fattuali, complessivamente considerate, comprovavano la possibilità di un tempestivo avvistamento del pedone da parte dell’imputato”: l’andamento rettilineo del tratto di strada teatro dell’evento, le condizioni di visibilità del luogo in relazione al campo di visibilità di circa 70 metri garantito dai fari anabbaglianti, la posizione del pedone, che camminava all’interno della corsia destra e nella stessa direzione di marcia del veicolo condotto dall’imputato.

Il principio di diritto

Dunque, per gli Ermellini la motivazione della Corte territoriale è congrua e logica, sottraendosi al sindacato di legittimità, e soprattutto conforme al principio di diritto, che viene ribadito con forza: “nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la sua morte, è necessario che il conducente del veicolo investitore si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido e inatteso e, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente.

Il conducente ha l’obbligo di ispezionare la strada costantemente, mantenere sempre il controllo del veicolo e prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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