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Cosa si intende per danno terminale? E per danno catastrofale o “da lucida agonia”?. Quando possono essere richiesti e risarciti? Per rispondere a queste domande risulta particolarmente utile l’ordinanza n. 14953/22 depositata dalla Cassazione l’11 maggio scorso.

I familiari di un pedone investito e ucciso chiedono il risarcimento del danno biologico terminale

La tragica vicenda di cui si è occupata la Suprema Corte riguarda il decesso dell’ennesimo pedone travolto da un’auto, a Fermo, mentre aveva quasi ultimato l’attraversamento a piedi di una via cittadina. I familiari della vittima avevano citato in causa per essere equamente risarciti il conducente della vettura e la compagnia assicurativa, Italiana Assicurazioni s.p.a.

Con sentenza del 2019 la Corte d’appello di Ancona, pronunciando sugli appelli principale e incidentale proposti, rispettivamente, dai congiunti del pedone e dall’assicurazione, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva condannato la compagnia a risarcire i parenti della vittima quantificando le poste risarcitorie sulla scorta della percentuale di responsabilità, ascritta per il 70 per cento all’investitore e per il restante 30 per cento al pedone.

I familiari della vittima tuttavia hanno proposto ricorso anche per Cassazione, adducendo quattro motivi di doglianza. Quello che qui interessano sono il terzo e il quarto. Nel terzo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per non aver loro riconosciuto il diritto al risarcimento iure hereditatis del cosiddetto danno biologico terminale derivante dalle lesioni subite dalla vittima (e poi esitate nel relativo decesso), alla luce del brevissimo lasso di tempo decorso tra l’incidente e il decesso, tale quindi da escludere l’effettiva insorgenza del diritto della vittima alla risarcibilità di tale voce di danno.

 

Danno non risarcibile iure heredidatis in caso di morte istantanea o avvenuta poco poco

Per la Suprema Corte però il motivo è infondato. In materia di danno non patrimoniale, spiegano gli Ermellini, “in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo”.

Fatte queste premesse, secondo la Cassazione, la corte territoriale nello specifico ha valutato in modo ragionevole “la sostanziale (e decisiva) brevità del lasso temporale di circa cinque ore intercorso tra il sinistro e il decesso della vittima, giungendo ad escludere il ricorso dei necessari presupposti di fatto idonei a giustificare l’integrazione di un danno biologico apprezzabile a carico del danneggiato”.

 

Il danno da lucida agonia

Con il quarto motivo, infine, i familiari hanno lamentato il fatto che la Corte territoriale avesse escluso (anche) il risarcimento iure hereditatis del danno non patrimoniale da lucida agonia sofferto dalla vittima immediatamente dopo il sinistro e fino al decesso, affermando, “in contrasto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio”, l’assenza di consapevolezza in ordine alle proprie gravissime condizioni di salute e alla prevedibile imminenza della propria morte a seguito dell’investimento.

Anche questa doglianza, tuttavia, è infondata secondo la Cassazione, che chiarisce: “in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, nel periodo di tempo interposto tra la lesione e la morte – oltre all’eventualità del danno biologico terminale (ossia al danno biologico stricto sensu) – può accompagnarsi, nell’unitarietà del genus del danno non patrimoniale, un danno morale peculiare improntato alla fattispecie (danno morale terminale), ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall’avvertita imminenza dell’exitus, se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di “lucidità agonica”, ossia in una condizione tale da consentire la percezione della propria situazione e, in particolare, l’imminenza della morte, essendo quindi irrilevante, a fini risarcitori, in tale ipotesi, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale ed il decesso”.

Anche in queso caso, però, secondo i giudici del Palazzaccio, la Corte territoriale ha “correttamente e logicamente evidenziato gli elementi di carattere critico che hanno sostanziato la valutazione condotta sulla ritenuta mancata ricorrenza, nel breve periodo intercorso tra il sinistro e il decesso, di un‘effettiva lucida consapevolezza, da parte della vittima, dell’imminenza della propria morte, così da escludere che lo stesso possa aver effettivamente percepito la dimensione catastrofica del tempo immediatamente successivo all’in-vestimento e quindi subìto il cosiddetto danno da lucida agonia, o “catastrofale”, configurato nella giurisprudenza di legittimità”.

Decisiva la circostanza che la vittima dopo l’incidente si sia trovato in condizioni di totale incapacità di percezione. Per la cronaca sono stati rigettati anche gli altri motivi del ricorso.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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