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Il danno patrimoniale si presume oltre il 25% di danno biologico. Lo ha stabilito la Sezione III Civile della Cassazione con la recente sentenza n. 2348 del 2018.

Il fatto. A seguito di sinistro stradale, il Tribunale riconosceva al danneggiato il danno biologico, quello morale e le spese mediche. In sede di gravame, la Corte d’appello osservava altresì che la mera circostanza che il danneggiato avesse subito un grave danno biologico non consentisse, di per sé, di riconoscere un danno patrimoniale, ben potendo questi svolgere un’occupazione diversa da quelle esercitata. Il danneggiato ricorreva dunque in Cassazione. Con successo.

La Suprema corte, in buona sostanza, osserva che la grave invalidità permanente (nella fattispecie, alla vista e pari al 25%) non consente alla vittima la possibilità di attendere a lavori generici e integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 del codice civile (Cass., 12 giugno 2015, n. 12211).

Secondo la Suprema Corte, pertanto, nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente renda altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi (Cass. 23 agosto 2011, n. 17514; 7 novembre 2005, n. 21497).

La liquidazione di questo danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio (Cass. 14 novembre 2013, n. 25634).

 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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