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Sono inquietanti i risultati dello studio presentato dalla Regione e dall’Istituto Superiore di Sanità su un campione di residenti esposti all’inquinamento delle falde da sostanze perfluoroalchiliche.
Nel sangue di 507 veneti esposti all’inquinamento delle falde acquifere da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), dovuto ai quarantennali sversamenti dell’azienda chimica Miteni di Trissino, sono state rilevate concentrazioni «significativamente superiori» rispetto al resto della popolazione, tanto che ora scatterà una maxi-campagna sanitaria dedicata a 250 mila residenti fra le province di Vicenza, Verona e Padova, la vasta area interessata.
L’annuncio è stato dato mercoledì 20 aprile 2016 a Venezia, dal tavolo che ha riunito Regione Veneto e Istituto Superiore di Sanità, ma anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), e nel corso del quale sono stati presentati i primi, allarmanti risultati dello studio di biomonitoraggio, che confermano quanto da più parti si andava sostenendo da tempo.
Dopo la (casuale) scoperta dell’anomalia idrica, nel corso di una ricerca condotta dal Cnr nel 2013, sono state avviate due linee di sorveglianza: ambientale e sanitaria. Sul primo fronte, è stata identificata la fonte contaminante ed è stata delimitata l’estensione della contaminazione, con la mappatura dei pozzi privati a uso potabile: l’indagine dell’Arpav ha riguardato un’area di oltre 300 chilometri quadrati e comportato l’analisi di più di 1.800 prelievi d’acqua.
Sul secondo piano, è stato avviato con un monitoraggio sierologico sulla popolazione, nella consapevolezza che gli elementi incriminati sono «molto persistenti, molto bioaccumulabili, tossici» e caratterizzati da un’eliminazione lenta con riassorbimento a livello renale. Per questo sono stati “arruolati” 257 residenti nei centri ad alto impatto (Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla Vicentina, Sovizzo e Sarego) e altri 250 abitanti in località scelte per un raffronto (Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana e Treviso). Ebbene: la ricerca di una dozzina di biomarcatori, appartenenti alla famiglia delle Pfas, soprattutto per gli analiti Pfos e Pfoa, si è conclusa con risultati maggiori nel campione dei comuni sotto attacco rispetto a quelli di confronto («il rapporto è di 10 a 1») e, all’interno dell’area più a rischio, con esiti più rilevanti nel territorio dell’Usl 5, quella dello stabilimento Miteni, piuttosto che nell’Usl 6 («la superiorità è di 60-70 volte»). Quanto nocive sono queste sostanze? Sono classificate come 2B, dunque potenzialmente cancerogene. Questo significa che, allo stato, i loro effetti sulla salute non sono conclamati, ma nell’incertezza occorre agire prontamente.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Danni Ambientali

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