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Com’è noto, il codice delle assicurazioni private (D. Lgs. 209/2005) prevede, all’art. 143 la denuncia di sinistro, per cui, nel caso di incidente avvenuto tra veicoli a motore per i quali vi sia obbligo di assicurazione, i conducenti dei veicoli coinvolti o, se persone diverse, i rispettivi proprietari, sono tenuti a denunciare il sinistro alla propria impresa di assicurazione, avvalendosi del modulo fornito dalla stesse, il modello di contestazione amichevole di incidente (cd. modello CID o CAI). Quando il modulo sia firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso.

Ma se il proprietario e il conducente del mezzo sono due persone diverse? La norma appare chiara nel ritenere – confortata anche dalla costante giurisprudenza – che tale modello, per assumere pieno valore confessorio, debba essere sottoscritto dal condecente del veicolo che sia, tuttavia, anche proprietario dello stesso. La ratio di tale norma risiede nel fatto che il proprietario del veicolo assicurato risulta litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal danneggiato contro l’assicurazione con azione diretta, ex art. 144, 149 e 141 codice delle assicurazioni. In altri termini, il danneggiato ha l’obbligo di convenire in giudizio, oltre alla compagnia di assicurazioni, anche il proprietario del veicolo, atteso che, ai sensi dell’art. 102 Cpc, la decisione in questi casi non può che pronunciarsi nei confronti di più parti, quali appunto l’assicuratore ed il proprietario che, pertanto, deve essere necessariamente convenuto. Viceversa il conducente, qualora non rivesta contestualmente anche la qualità di proprietario, è un mero litisconsorte facoltativo, ex art. 103 Cpc, vale a dire che lo stesso può anche essere citato in giudizio ma che, tuttavia, non esiste alcun obbligo in tal senso, al pari dello stipulante il contratto di assicurazione qualora sia persona diversa tanto dal proprietario quanto dal conducente del veicolo.

A riaffermare questo principio una recente ordinanza della Corte di Cassazione, III Sez. civile, n. 4010 del 20 febbraio 2018. Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 5668/2014, confermando la pronuncia di primo grado resa tra la conducente di un veicolo danneggiato, la proprietaria e il conducente di quello danneggiante, aveva condannato solo quest’ultimo al risarcimento del danno. Il Giudice di Pace, confermato dal Tribunale, aveva ritenuto che la ficta confessio determinata dalla mancata presentazione del conducente del mezzo danneggiante a rendere l’interrogatorio formale, trattandosi nel caso di specie di litisconsorzio facoltativo, non spiegava alcun effetto nei confronti della conducente del veicolo danneggiato ma soltanto nei confronti del confitente. Entrambi i giudici di merito avevano altresì precisato che, non essendo il conducente del veicolo assicurato un litisconsorte necessario della compagnia di assicurazioni e/o del proprietario assicurato, ma un coobbligato solidale con il proprietario del veicolo, la confessione del conducente stesso, ivi compresa quella resa nel CID, andasse liberamente apprezzata dal giudice del merito nei confronti del proprietario del veicolo e dell’assicuratore, mentre facesse piena prova, a norma degli artt. 2733 e 2735 c.c., nei confronti del conducente confitente. E Il Tribunale, confermando la sentenza di primo grado, aveva aggiunto che il modulo di constatazione amichevole, sottoscritto dai due automobilisti coinvolti nel sinistro, non era idoneo a dimostrare la veridicità del fatto, sulla base anche della giurisprudenza della Suprema Corte secondo la quale la relativa dichiarazione confessoria deve essere liberamente apprezzata dal giudice anche nei confronti del proprietario del veicolo, a fortiori per il conducente non proprietario (Cass. U. n. 10311 del 5/5/2006; Cass. 9551/2009).

In parziale accoglimento del secondo motivo di appello, relativo alla quantificazione del risarcimento, il Tribunale aveva ritenuto che il ristoro dell’esborso affrontato per il ripristino del mezzo, costituendo risarcimento in forma specifica, lasciasse al giudice il potere di condannare, ai sensi dell’art. 2058 secondo comma c.c., il danneggiante al risarcimento per equivalente, a condizione però che non superasse il valore economico del bene al momento del sinistro. Sulla base di questi principi aveva ridotto la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno ad € 4.800 già rivalutata, oltre interessi legali, e condannato l’automobilista alla guida del veicolo causa del sinistro alle spese nei confronti della automobilista danneggiata, comprese quelle della consulenza, compensando quelle con la compagnia Vittoria Assicurazioni.

Avverso la sentenza l’autocarrozzeria (omissis) ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo nel quale denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 167 c.p.c., 2697 e 2733 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. “Violazione del principio della inscindibilità del giudizio di responsabilità”. Il motivo, con il quale si censura, in sostanza, la violazione delle regole sull’onere della prova, è stato declinato sia con riguardo alla violazione dell’art. 143 del d.lgs. n. 209 del 2005 sia con riguardo alla violazione dell’art. 232 c.p.c.

Sotto il primo profilo la ricorrente ha denunciato la violazione delle regole sulla distribuzione dell’onere della prova, sia con riguardo agli artt. 2697 e 2733, co. 3 c.c., sia con riguardo alla norma speciale, applicabile alla fattispecie, dell’art. 143 del Codice delle Assicurazioni che stabilisce una presunzione legale di verità di quanto contenuto nel CID, salvo prova contraria da parte dell’assicuratore. La sentenza avrebbe violato detta disposizione nella parte in cui non si è fatta carico di esaminare se l’assicuratore avesse fornito la prova contraria in ordine a quanto dichiarato nel CID, in ipotesi di litisconsorzio necessario.

Ma per la Cassazione il motivo è infondato. “L’art. 143 del Codice delle Assicurazioni – si spiega nell’ordinanza -, nella lettura consolidata della giurisprudenza di questa Corte, prevede che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, la dichiarazione, avente valore confessorio contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro, per essere opponibile all’assicuratore debba essere resa dal responsabile del danno che sia anche proprietario del veicolo assicurato, caso questo di litisconsorzio necessario. Diversamente accade, come nel caso di specie, quando il conducente del veicolo non sia anche proprietario del mezzo in quanto quest’ultimo è solo litisconsorte facoltativo e la sua dichiarazione non fa stato nei confronti dell’assicuratore ma va liberamente apprezzata dal Giudice (Cass. U. n. 10311/2006; Cass. 3 n. 8214 del 4/4/2013; Cass. 6-3 n. 3875 del 19/02/2014). La sentenza impugnata si è, pertanto, conformata pienamente a detti principi, ritenendo che la dichiarazione resa dal conducente non proprietario, cioè da un coobbligato in solido, non sia opponibile all’assicuratore ma liberamente apprezzabile dal giudice. Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ha fatto salvo il potere del giudice del merito, in materia di responsabilità di sinistro stradale, di valutare come preclusa la portata confessoria del cosiddetto CID nell’esistenza di un accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto, come descritto in quel documento, e le conseguenze del sinistro come accertato in giudizio. L’incompatibilità logica delle dichiarazioni con la dinamica del sinistro è, secondo questa Corte, un momento antecedente rispetto all’esistenza e alla valutazione della dichiarazione confessoria (Cass. 3, n. 15881 del 25/06/2013). Quanto al secondo profilo, il ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui avrebbe violato l’art. 232 c.p.c. nel non ritenere che la mancata risposta del (omissis, ndr) all’interrogatorio formale, sia pur con i limiti della fida confessio, dovesse essere valutato insieme agli altri elementi di prova per arrivare alla conclusione della fondatezza dell’originaria pretesa dell’attrice. Il motivo, sotto questo secondo profilo, è inammissibile in quanto la censura è di merito“.

La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso, dichiarando peraltro inammissibile per difetto di autosufficienza anche il ricorso incidentale di Vittoria Assicurazioni.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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