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In tema di responsabilità medica la Corte di Cassazione ha pronunciato una rilevante sentenza, la 1251/2018, stabilendo che la struttura sanitaria a cui un paziente si rivolga per essere sottoposto ad analisi cliniche è tenuta, oltre che ad uno specifico obbligo di prestazione, a un correlato dovere di protezione. Di conseguenza, se dalle analisi emerge una evidente situazione di pericolo di vita, la struttura deve attivarsi tempestivamente e immediatamente per proteggere la salute del paziente.

Nel caso in questione, il paziente si era recato presso la struttura sanitaria, poi convenuta in giudizio dai suoi eredi, per sottoporsi a delle analisi, dalle quali era emerso un valore della potassiemia tale da indicare un inequivocabile pericolo di vita. La struttura, però, non aveva dato immediata comunicazione dell’anomalia al medico curante e l’uomo, tra giorni dopo, era deceduto per arresto cardiaco.

Il giudice di primo grado del Tribunale di Bassano del Grappa, tuttavia, ha respinto la domanda di risarcimento dei familiari della vittima, ritenendo insussistente un obbligo di comunicazione urgente degli esiti dell’accertamento in capo all’Azienda sanitaria, obbligo non previsto da alcuna specifica disposizione normativa. E anche la Corte d’Appello di Venezia, dinanzi alla quale gli attori avevano proposto impugnazione, l’ha rigettata.

Di tutt’altro parere, invece, la Suprema Corte, che ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di Appello di Venezia in altra composizione.

Non erra il giudice lagunare – scrivono gli Ermellini  – nel ritenere, su di un piano generale, impredicabile un indifferenziato obbligo di attivazione in presenza di qualsivoglia situazione di alterazione dei dati clinici che emerga dalle analisi compiute presso una struttura ospedaliera. Ma tale impredicabilità trova un invalicabile limite nell’ipotesi in cui tale alterazione si riveli di tale gravità da mettere in pericolo la vita stessa del paziente – onde una tempestiva segnalazione al sanitario competente o al paziente stesso ne possa, sul piano probabilistico, scongiurare l’esito letale conseguente (e nella specie, purtroppo conseguito) al ritardo di comunicazione, ritardo che, ove consumato, si risolve nella violazione del precetto di cui all’articolo 1176, secondo comma, del codice civile”, che impone la diligenza nell’adempimento.

Di fronte a questo principio, dunque, a nulla rileva che non sussista alcuna specifica disposizione che imponga all’azienda sanitaria un obbligo di comunicazione: indipendentemente da qualsiasi norma, regolamento, protocollo o linea guida, dinanzi a un tale inadempimento il giudice del merito dovrà pertanto rivalutare la sua decisione di respingere la domanda di risarcimento avanzata dagli eredi.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Malasanità

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