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E’ una sentenza interessante quella pubblicata nei giorni scorsi (con il numero 180/2016) dal Tribunale di Treviso, con cui il giudice, accogliendo la domanda risarcitoria presentata dal fratellastro della vittima, deceduta a seguito di un sinistro stradale, contro la compagnia assicurativa e l’auto coinvolta, chiarisce come va liquidato il risarcimento per la perdita di una sorella nascitura.

I fatti. La compagna del padre del ricorrente, incinta alla trentesima settimana di gravidanza, era passeggera della vettura coinvolta nell’incidente: dopo il violento scontro con un altro veicolo, proveniente dall’opposta direzione di marcia, spirava a causa delle gravi lesioni riportate. Prima del decesso, alla vittima veniva praticato un cesareo d’urgenza, ma, nonostante l’intervento dei sanitari, la neonata moriva a sua volta per un arresto cardio-respiratorio.

Il ricorrente, convivente con la propria madre separatasi dal marito, è il fratello unilaterale della bimba e chiede di essere risarcito per la perdita della familiare. Il Tribunale, dopo aver verificato la dinamica dell’incidente e accertato la responsabilità del conducente della vettura coinvolta (e della compagnia assicurativa), accoglie la domanda, ponendo a fondamento della decisione la circostanza che il ragazzo è stato privato della possibilità di sviluppare un rapporto con la sorellina, nonostante egli conviva con sua madre. Infatti, a fondare il pregiudizio lamentato basta la sola possibilità che il ragazzo avrebbe potuto instaurare e vivere una relazione familiare con la bambina, se questa fosse sopravvissuta. Viene quindi ribadito con forza, anche in questo caso limite, il principio che la perdita della possibilità di poter instaurare un rapporto affettivo con il parente, deceduto a seguito di un incidente stradale, va sempre riconosciuta e risarcita dall’assicurazione.

Altro elemento significativo della sentenza è che il Tribunale, per quantificare il pregiudizio, sceglie di ricorrere alle tabelle di Milano che, in quanto adottate dalla gran parte degli uffici giudiziari italiani, sono in grado di “assicurare maggiori esigenze di uniformità decisionale”: è l’ennesima riprova che la presunta mancanza di criteri uniformi alla base del tentativo, in atto nel Ddl Concorrenza, di decurtare l’entità dei risarcimenti è solo un pretesto. Il riferimento c’è già ed è quello “milanese”.

Tuttavia, poiché il danno da perdita di chance non coincide completamente con quello che deriva dalla perdita di una relazione già esistente, il giudice stabilisce che è necessario evitare il rischio di una duplicazione risarcitoria: se si liquidasse sia il danno morale che quello da perdita del rapporto parentale, si moltiplicherebbero le voci di danno in quanto “la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita, altro non sono che componenti del complesso pregiudizio che va integralmente e unilateralmente ristorato“. Quindi, accogliendo la domanda, il Tribunale stabilisce però che l’importo minimo del risarcimento deve essere ridotto del 40%.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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